Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Igor Traboni
Tre anni di lavoro certosino su migliaia di fonti, facendo leva anche su esperienze e studi personali (suo tra l’altro il Comunione e liberazione edito in Francia nel 1989 e tradotto in Italia da Laterza nel 1991), hanno consentito a Salvatore Abbruzzese, sociologo e docente all’Università di Trento, di dare alle stampe Il Meeting di Rimini: dalle inquietudini alle certezze, in uscita dalla Morcelliana.
Il libro verrà presentato il 24 agosto, giornata conclusiva della kermesse riminese, a suggellarne l’edizione numero 40 e i quattro decenni trascorsi, con un dibattito cui interverranno, oltre all’autore, il vicedirettore del Corriere della Sera, Antonio Polito, e la presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia tra i popoli, Emilia Guarnieri.
Professor Abbruzzese, il titolo del libro è già tutto un programma. In estrema sintesi, quali le inquietudini e quali le certezze di questi primi 40 anni del Meeting?
Le inquietudini sono quelle degli inizi, degli anni ’70, interne alla Chiesa, al movimento di Cl, ma soprattutto alla società, che si è vista bruciare tra le mani la contestazione, fino agli anni di piombo, con un senso di non riuscire a capire come e dove intervenire. Il Meeting nasce allora da un desiderio di esplorare ciò che si muoveva nel mondo, poi ampiamente confortato dalla contingenza della storia, e penso all’esperienza di Solidarność. Il tutto, e qui siamo alle certezze, con l’idea di un sottofondo religioso che producesse anche il desiderio di un percorso civile.
Che metodo di lavoro ha scelto per ripercorrere la storia del Meeting?
Da sociologo ho preferito una scansione temporale, per guardare in simultanea i vari avvenimenti e stabilire una relazione tra un evento e il contesto culturale in cui questo matura. La base empirica mi è stata data da tanti testi, come quelli di monsignor Camisasca, di Emma Neri e della Vita di don Giussani scritta da Alberto Savorana, ma soprattutto dallo sterminato archivio del Meeting che mi sembra mai nessuno prima d’ora abbia letto e studiato: i testi delle conferenze, i documenti di presentazione, gli indirizzi di saluto dei Pontefici. Molto mi ha aiutato anche l’esperienza personale del Meeting, che da oltre venti anni frequento e vivo e a cui sono stato invitato quattro volte come relatore.
Dell’intuizione iniziale del Meeting cosa è rimasto?
L’essenziale. È rimasto l’essenziale. Certo, si è andati avanti, anche secondo i cambiamenti della società, ma poi è sempre ricomparsa quella matrice iniziale del senso religioso, che ritorna come domanda ricorrente; basti ripercorrere i titoli del Meeting da due decenni a questa parte. Nell’andare avanti si è anche affiancato un tentativo di esplicitazione di una cultura di popolo che suggeriva anche un progetto di presenza politica.
Ecco, la politica: nel suo libro come affronta il capitolo per niente facile del rapporto con il Meeting?
Lo ripercorro per intero, dal Movimento Popolare fino all’attuale intergruppo parlamentare. Emergono così delle affinità elettive (penso ad Andreotti ma anche a Napolitano) ben diverse da quelle strumentali. Però direi che questo “connotato politico” è niente rispetto al patrimonio culturale del Meeting anche con le sue declinazioni attuali, che vanno dal tema dei migranti a quello dei cristiani in Medio Oriente e del dialogo interreligioso.
Il Meeting è una grande esperienza di giovani: che idea si è fatto di questo mondo, osservandolo nello scorrere del tempo?
Il Meeting consente ai giovani la costruzione di un ambiente morale e relazionale, con modalità di ascolto e incontro senza eguali. Non so dove capiti di trovare 5.000 ragazzi che prendono appunti in silenzio ascoltando un filosofo. C’è sempre una grande attenzione gli uni verso gli altri, che si esplica nel volontariato, prima, durante e dopo il Meeting. Però non parlerei solo di una componente giovanile: quando il Meeting è nato Cl era attiva da 10 anni e c’era anche Gioventù studentesca, per cui si fece leva anche su tanti adulti. E anche oggi tanti adulti sentono il Meeting come un’esperienza irrinunciabile.
Come immagina il Meeting nei prossimi 40 anni?
Bisognerà vedere, e capire, come andrà il mondo. Già oggi molte cose sono cambiate, penso al dibattito sulla famiglia o sul fine vita, impensabili 40 anni fa. Il Meeting è un po’ una nave nel mare della società e della cultura, capace però di ripresentare sempre una certezza che definirei “accanita”: quella sull’uomo amato e guardato da Dio.