Iran e Israele, la guerra può essere ancora evitata?

La regione più esplosiva del globo è vicina a un conflitto dagli esiti imprevedibili ma con conseguenze immediate sicure: tensione geopolitica mondiale alle stelle; crisi finanziarie; distruzione del Libano,

Ci domandavamo qui, in occasione del recente incontro a Washington fra Netanyahu e Biden, cosa il premier israeliano avrebbe rivelato al presidente americano circa la possibilità di un prossimo conflitto con l’Iran, una eventualità divenuta drammaticamente possibile dopo l’assassinio a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh.

Ormai è chiaro a chiunque che la parte più oltranzista del governo e della società israeliana e Netanyahu medesimo (costui anche per problemi di personale sopravvivenza politica) hanno interiorizzato se non addirittura deciso la certezza di uno scontro con il regime degli ayatollah, padrino neanche tanto nascosto dei nemici più prossimi dello stato ebraico: le tre H (Hamas, Hezbollah, Houthy) e la Jihad Islamica. In altre parole, Gerusalemme è convinta della ineluttabilità – e forse pure della necessità – di una guerra con l’Iran.

Uno scenario tragico che gli Stati Uniti oggi non sono in grado di evitare, complice la loro particolare condizione interna attuale. Netanyahu non si spaventa delle minacce di Biden perché sa che ormai è una “anatra zoppa” e sa pure che il tempo dell’azione è adesso, perché dal prossimo gennaio e di fatto in realtà dalla seconda settimana del prossimo novembre la Casa Bianca sarà occupata da un/una presidente neoeletto/a e dunque in grado di farsi ascoltare e rispettare, anche da Netanyahu.

E così Israele prosegue la distruzione di Gaza, incurante del discredito internazionale nel quale è sprofondato dopo aver subìto, lo scorso 7 ottobre, una mattanza che aveva sollevato profonda indignazione anche presso stati non sempre suoi amici. E prosegue con le incursioni mirate, clamorosamente efficaci e provocatorie, in territorio iraniano, addirittura nella capitale. Come a voler reclamare un attacco da Teheran, pronto poi a rispondere in maniera più che proporzionale. Avviando una guerra regionale avente riflessi mondiali che infatti le Borse stanno già scontando. 

Del resto, il fulcro del problema – ritengono a Gerusalemme – è proprio Teheran. Il suo obiettivo rimane l’annientamento di Israele. E per raggiungerlo si avvale di organizzazioni islamiste sciite (Hezbollah, Houthy) e anche sunnite (Hamas, Jihad Islamica) il cui statuto recita il medesimo obiettivo. Organizzazioni estremamente attive sul territorio come si è visto dal 7 ottobre in avanti. I ribelli yemeniti minacciano costantemente il commercio internazionale con i loro droni e le incursioni sul Mar Rosso. Le milizie irachene sciite minacciano la Giordania e le truppe USA presenti nell’area. Hezbollah ha aumentato gli attacchi verso il nord israeliano sino alla strage dei bambini sul Golan e pare sempre più risoluto nella sua azione antiebraica. Hamas riesce a reggere l’urto devastante che sta ricevendo nella Striscia al punto da poter ancora lanciare qualche attacco contro l’odiato nemico. Tutto ciò senza il sostegno attivo dell’Iran non sarebbe possibile, assicurano gli israeliani. Che non potendo più accettare tutto ciò, dopo il 7 ottobre, si sono convinti che l’unica soluzione sia la guerra.

Se di questo, al di là della esibizione oratoria contro il “nemico sionista” da colpire e abbattere prodotta dal leader supremo Ali Khamenei, si fossero convinti pure a Teheran, come ormai pare possibile anche se non certo, la regione più esplosiva del globo precipiterebbe in un conflitto dagli esiti imprevedibili ma con conseguenze immediate sicure: tensione geopolitica mondiale alle stelle; crisi finanziarie; distruzione del Libano, terreno di scontro iniziale e vittima sacrificale della guerra. E molto altro ancora. Uno scenario terribile.