Il leader di Unità Nazionale, Benny Gantz, ha sorpreso la scena politica israeliana con un invito pubblico a formare un governo di emergenza nazionale. L’appello, rivolto al premier Benyamin Netanyahu, al leader dell’opposizione Yair Lapid e al presidente di Israel Beitenu Avigdor Liberman, punta a dare vita a un esecutivo di sei mesi con due obiettivi circoscritti: ottenere la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e varare la legge sull’arruolamento obbligatorio degli ultra-ortodossi, da anni uno dei nodi irrisolti della politica israeliana.
“Non voglio salvare Netanyahu, ma gli ostaggi”
Parlando in conferenza stampa, Gantz ha chiarito la logica della sua proposta: “Non voglio salvare Netanyahu ma gli ostaggi, che sono in pericolo di vita. Se il premier non sarà d’accordo, sapremo di aver fatto tutto il possibile”. Un messaggio che sposta il baricentro dalla contesa politica alla responsabilità collettiva, segnalando la necessità di un’assunzione di impegni concreti oltre gli interessi di partito.
L’ex capo di Stato Maggiore, già ministro della Difesa e figura di solida esperienza militare e istituzionale, aveva lasciato lo scorso giugno il gabinetto di guerra denunciando l’incapacità del premier di gestire la crisi con coerenza e credibilità. Da allora la sua posizione non è stata di mera opposizione, ma di costante richiamo all’unità nazionale in una fase segnata da fragilità interna e isolamento internazionale.
Un’iniziativa che rompe gli equilibri
La proposta di Gantz mette in difficoltà l’attuale coalizione di destra. Accogliere un governo di emergenza significherebbe infatti ridimensionare il ruolo degli alleati ultraortodossi e soprattutto dei leader dell’estrema destra, Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, la cui agenda radicale è percepita da una parte crescente dell’opinione pubblica come un ostacolo a ogni soluzione credibile della crisi.
Lapid e Liberman si sono detti disponibili a discutere, mentre nei media israeliani l’iniziativa viene letta come un atto di responsabilità che potrebbe ridare credibilità al Paese, proprio mentre la comunità internazionale sollecita Israele a muoversi con maggiore determinazione sul fronte degli ostaggi e a riequilibrare il rapporto tra sicurezza e diritti civili.
La voce del buon senso
Se Netanyahu dovesse rifiutare l’offerta, Gantz consoliderebbe comunque l’immagine di uomo di Stato capace di anteporre l’interesse nazionale alle convenienze politiche. In un contesto segnato dall’instabilità e dall’erosione della fiducia dei cittadini, la sua figura emerge come quella di un leader pragmatico, pronto a offrire una via di mezzo tra il radicalismo e l’impotenza.
Il futuro di questa proposta resta incerto. Ma una cosa appare chiara: Gantz ha voluto riportare al centro della politica israeliana un linguaggio di sobrietà e di responsabilità, in netta controtendenza rispetto alla polarizzazione dominante. Per molti israeliani stanchi di promesse mancate e contrapposizioni sterili, questa è la voce del buon senso che ancora tiene viva la speranza di un’uscita dall’emergenza.