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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Israele umilia l’Iran: e adesso?

La situazione è pericolosamente in bilico: fra una nuova iniziativa bellica di Teheran, che ne produrrebbe una in risposta di Israele avviando così per inerzia l’innesco di una guerra vera e propria.

Era solo questione di tempo. E il tempo è giunto. Come prevedibile, prima delle elezioni USA. La risposta israeliana al bombardamento iraniano con missili balistici di quasi un mese fa è arrivata, colpendo siti militari e non – come si temeva e come gli americani avevano chiesto non si facesse – quelli collegati al progetto nucleare né le infrastrutture vitali per l’economia iraniana quali raffinerie e oleodotti.

L’azione israeliana ha dimostrato l’inefficacia del sistema antiaereo di Teheran e offre credito alle minacce di Tel Aviv quando ammoniscono circa la possibilità reale di provocare un danno al nemico tale da “liberare” il suo popolo dalla tirannia del regime islamista. Un timore, o meglio una paura, che effettivamente gli ayatollah covano al loro interno perché è evidente che, al di là dei proclami, essi non vogliano impegnarsi in una guerra contro Israele con la quasi certezza di perderla. Il gruppo dirigente sciita, ormai in là con gli anni, ha precisa memoria di quanto tragica per la nazione fu l’interminabile guerra degli otto anni con l’Iraq ed ha consapevolezza di quanto un nuovo conflitto, per di più contro un nemico molto più forte militarmente, potrebbe costare non solo al popolo ma anche allo stesso loro potere, fin nelle sue fondamenta. Questa consapevolezza non è però presente fra le leve più giovani dei pasdaran, propense invece ad affrontare Israele con l’obiettivo – sempre dichiarato ufficialmente – di farlo sparire dalla faccia della Terra. 

Dunque la situazione è ora in bilico, pericolosamente in bilico: fra una nuova iniziativa bellica di Teheran, che ne produrrebbe una in risposta di Israele avviando così per inerzia l’innesco di una guerra vera e propria, e la stasi. In questo secondo caso sarebbero soprattutto Hezbollah e Houthy a cercare di colpire e naturalmente Israele continuerebbe la sua iniziativa demolitoria in Libano e in parte pure in Siria se ritenuto necessario per colpire più a fondo i proxy iraniani. Nel primo, invece, diverrebbe probabile e forse inevitabile un intervento statunitense a supporto dell’alleato, a quel punto col fine più o meno dichiarato di distruggere i siti nei quali l’Iran sta lavorando alla propria bomba nucleare, un risultato che gli si vuole impedire ad ogni costo. Ma l’ingresso americano nella guerra non lascerebbe, è lecito temere, la Russia silente.

Putin vuole “creare un nuovo ordine internazionale”, come ha ribadito più volte. L’iniziativa dei BRICS, peraltro ricca di ipocrisie e di punti tutt’altro che chiari, mira esplicitamente a questo obiettivo. E dunque il sostegno all’Iran (da cui acquista droni che impiega in Ucraina e al quale assicura tecnologia balistica) in una eventuale guerra a Israele, bastione dell’Occidente in Medio Oriente, potrebbe agevolare il raggiungimento dell’obiettivo.

Al tempo stesso, però, anche al Cremlino sanno che il rischio di un conflitto aperto è il crollo del regime degli ayatollah e quindi la prudenza diviene un ingrediente del quadro inevitabilmente necessario. Anche perché l’Iran può essere un alleato utile in ambito BRICS, ed è pertanto meglio un suo consolidamento piuttosto che il rischio di un suo crollo.