Per la diffusione dell’italiano dobbiamo ringraziare il Santo Padre, che di lingua madre è spagnolo. Potrebbe usare , in qualità di Capo di Stato di uno Stato sovrano la lingua ufficiale dello Stato cioè il latino ma indubbiamente il latino parlato avrebbe una qualche difficoltà ad avere esperti di traduzione simultanea e forse nessun giornalista accreditato in questa lingua. Anche se una possibile scenetta di conferenza stampa in latino desterebbe un interesse straordinario sui social e chissà come riflesso anche un rinnovato interesse per questa lingua morta (e non lo è fintanto che uno Stato riconosciuto la usa come lingua ufficiale).
Dunque a Papa Francesco dobbiamo dire un doppio grazie: per aver mantenuto in vita la nostra lingua nonna e per continuare ostinatamente in direzione contraria, direbbe il poeta, ad usare l’italiano in tutte le occasioni pubbliche. E questo per noi italiani che ormai utilizziamo nelle nostre conversazioni una sorta ital-english che su una struttura lessicale italiana mette vocaboli inglesi, è uno smacco bello forte. Primo perché Papa Francesco parla italiano e non ital-english come fanno molti nostri politici, giornalisti, professionisti e financo insegnanti, e così facendo resta talvolta difficile pure a noi di madre lingua italiana capire le Sue omelie. Il perché è presto detto: abbiamo in testa nell’area del linguaggio , una tale confusione di vocaboli che fare una frase completa nella tua lingua madre diventa impresa ardua se non ti ricordi più i vocaboli italiani e ricorri a i vocaboli english che pensi siano tuoi ma non lo sono. Il guazzabuglio che ne viene fuori non solo può essere divertente da sentire ma confonde la proprietà di linguaggio a tal punto che mentre parli non sai più in che lingua stai parlando. Che dire poi dell’insegnamento della lingua a scuola; siccome non è più la lingua parlata, l’italiano con tutto il suo bagaglio di grammatica e lessico è ora la lingua morta che si insegna a scuola. Se portassimo, giusto per giocare un po’ e anche per riflettere, la domenica mattina in Piazza San Pietro, anche la breve omelia del Santo Padre non sarebbe facile da comprendere per i giovanissimi. Lasciamo il compito ai familiari per la traduzione simultanea.
Secondo punto a favore del Santo Padre. Costringe i media a conoscere l’italiano, mentre tutti sulla scena mondiale si esprimono in inglese qualunque sia la lingua madre, ad eccezione dei cinesi e dei russi che per l’inglese hanno una certa avversione. È non è cosa di poco conto, perché l’italiano non è un lingua facile da imparare. Per noi è facile quasi non c’è ne accorgiamo ma è una selva di coniugazioni, preposizioni, tempi verbali, lessico e sintassi, costruzione delle frasi, che richiede un certo impegno anche solo per arrivare al livello A2 (1.000 vocaboli e conversazione di base). Con sconforto è anche vero che i nostri giovanissimi ci arrivano con difficoltà a questo livello A2 e la colpa è anche del non uso pubblico della lingua madre.
Perché dunque difronte ad un così alto esempio, i rappresentanti delle nostre Istituzioni si ostinano a parlare in inglese, quale gesto di cortesia verso l’interlocutore e dimostrare una internazionalità che invero va dimostrata con altri modi (per esempio conoscendo bene i trattati internazionali e la storia mondiale) e non unicamente conoscendo la lingua più diffusa? Sta anche a loro la responsabilità è l’onere di parlare italiano. Questo risentire pubblicamente parlare italiano non solo ci dovrebbe inorgoglire ma anche spronare a riprendere l’attenzione per la lingua con la quale pensiamo e argomentiamo le nostre idee e comunichiamo i nostri sentimenti, nonché con un grande salto anche la nostra letteratura, togliendola in parte dalla teca degli insegnamenti della scuola e riportandola tra di noi, nel quotidiano, perché la cultura di un popolo si vede anche dalla cura che lo stesso dedica alla sua lingua madre. Il grazie al Santo Padre vale doppio.