Giorgio Merlo
La scelta delle candidature, di qualsiasi livello istituzionale, sono sempre un passaggio delicato e complesso. Ma quando si tratta di scegliere candidati nei collegi uninominali la scelta non può che essere dettata da criteri che fanno del profilo politico e culturale del suddetto candidato la ragione decisiva per poter allargare i consensi. Criteri, questi, che pare non appartengano alla strategia politica, culturale e forse anche elettorale di Calenda.
Ora, senza alcun pregiudizio e nel massimo rispetto di tutte le opinioni, la candidatura di Marco Cappato in un collegio uninominale della Brianza per eleggere il nuovo senatore dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi, è un segnale politico che confligge con qualsiasi criterio riconducibile alla logica del buon senso. E, tanto più, con la logica e le regole del consenso. Perché la candidatura di Cappato, sostenuta e promossa – almeno così pare – dal capo di Azione Calenda, risponde ad alcuni requisiti di fondo che registra la nostra netta contrarietà politica e culturale. E questo almeno per tre ragioni di fondo.
Innanzitutto si tratta di una candidatura profondamente “divisiva”. E le candidature divisive hanno un unico grande limite: sono fatte per perdere e non per vincere. Soprattutto nei collegi uninominali dove la scelta è sì politica per quanto riguarda lo schieramento ma anche e soprattutto personale, cioè si valuta anche il profilo politico e culturale del candidato/a.
In secondo luogo evidenzia il profilo politico di chi condivide e promuove questa candidatura, cioè Calenda. Non si tratta di giudicare le singole scelte politiche, ma di prendere atto – senza polemica alcuna – che il profilo di Calenda si conferma, ancora una volta, profondamente e radicalmente alternativo ad un centro popolare e rispettoso della pluralità che lo deve comporre. E un centro credibile e politicamente competitivo non può ridursi ad una versione laicista, vagamente anticlericale e irrispettoso e antitetico nei confronti di altre sensibilità culturali ed ideali. Non si tratta, cioè, di ricostruire un luogo politico che assomiglia ad una versione, addirittura in miniatura, del vecchio Pri o Pli ma, al contrario, che sappia costruire un soggetto che faccia perno sulla pluralità culturale declinando un vero progetto riformista e di governo. L’esatto opposto di una nicchia liberista, radicale, anticlericale e salottiera.
In ultimo le candidature, soprattutto nei collegi uninominali, non possono essere il capriccio di qualche capo partito usate e costruite per mettere le dita negli occhi ad eventuali alleati. Questo non è nient’altro che infantilismo politico da un lato e non rispetto, appunto, della pluralità culturale dall’altro.
Per questi motivi, come “Tempi nuovi-Popolari uniti” non condividiamo questo approccio politico e queste scelte improvvisate e provocatorie. Un centro politico, riformista, plurale e di governo si costruisce attraverso la costruzione di un progetto che non contempla l’improvvisazione e l’avventurismo ma, invece, con la pazienza di cucire e unire le diversità ideali, che sono sempre una ricchezza, per un disegno politico credibile, serio e realmente competitivo.