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lunedì, 8 Dicembre, 2025
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La conoscenza come imprescindibile risorsa della politica

La competenza torna ad essere nel sentire comune un elemento cardine dell’azione politica: oltre il presentismo, serve una classe dirigente aperta alla sfida del sapere. Un esempio positivo? Quello rappresentato da Carlo Calenda.

Conoscenza superficiale e conoscenza che si radica

In un importante saggio per il progetto di ricerca “Le conseguenze del futuro” il Prof. Ermanno Bencivenga, Docente di Filosofia all’Università della California, aveva evidenziato come in una società complessa, attraversata dall’esigenza del conoscere quale requisito indispensabile per ogni progettualità futura, occorra distinguere tra la conoscenza che circola nel web, per sua natura fondamentalmente transeunte, veloce, mutevole e per ciò stesso finta, sfuggente e ingannevole e quella che si sedimenta negli apprendimenti tradizionali, che richiedono pazienza, ascolto, studio e sacrificio.

La prima è una forma di conoscenza proposizionale che potremmo definire know-that mentre la seconda conduce ad una tipologia di apprendimenti consolidati che si traducono in abilità e competenze, ciò che siamo soliti definire come know how.

Inutile dire che per chi voglia incidere nei mutamenti e nelle trasformazioni della nostra realtà esistenziale, a cominciare dal livello che pertiene alla politica, risulta assai più interessante la seconda della prima.

 

La tentazione della democrazia virtuale”

Non per tutti ad onor del vero: c’è infatti chi sostiene che la democrazia del futuro non avrà più bisogno delle istituzioni tradizionali per funzionare poiché sarà sostituita gradualmente da forme di partecipazione virtuali, dove si dissolveranno i corpi intermedi di rappresentanza per consentire al cittadino di intervenire in modo diretto sulla realtà.

Senza preoccuparsi del fatto che le relazioni personali, la sedimentazione di una cultura ricevuta, consolidata e tramandata, appresa e insegnata, lo stesso corpo sociale potrebbero essere sgretolati da una congerie di dissolvenze incrociate, senza centro e senza periferie, dove si assisterebbe probabilmente ad un trionfo del relativo e di soggettività solipsistiche, un universo globalizzato nel quale gli individui sarebbero monadi isolate tra solitudini incomunicabili.

Competenza e responsabilità: un binomio necessario

Il tema della conoscenza risulta dunque fondamentale in una società complessa, attraversata da una pluralità di interpretazioni, specialmente se rapportato all’esigenza della politica di definire modelli istituzionali e sociali in cui posizionare e ricomporre le molteplici contraddizioni del presente, in una deriva di transizione che richiede chiarezza di intenti e lungimiranza progettuale.

Dalla mutevolezza e dalle incertezze dell’hic et nunc (che il Prof. De Rita liquida tout court come “presentismo asfissiante”) emerge una duplice esigenza per qualsivoglia ipotesi di gestione della società del futuro e – al suo interno – degli stili di vita e dei comportamenti individuali: quella della competenza e quella della responsabilità.

Senza questa coesistenza intrinseca potremmo avere demiurghi caricati di responsabilità ma privi delle necessarie competenze originate dalla conoscenza o – viceversa – esperti saturi di competenze ma deprivati del saper fare, del saper agire, del saper gestire.

Una tassonomia da recuperare

Alla politica del nostro tempo, spesso ricca di parole, frasi a effetto, promesse ed effetti speciali ma orfana di ‘competenze utili’ spendibili in ‘responsabilità necessarie’, sarebbe utile ripercorrere l’intera tassonomia di Benjamin Bloom, solitamente applicata nell’ambito degli apprendimenti: conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi e valutazione.

I professionisti della politica dovrebbero farlo per imparare ed utilizzare un metodo collaudato che riesca a sostanziare di senso un progetto di governance e un modello di società: obiettivi che vanno spiegati con chiarezza per non cadere nell’improvvisazione dannosa o nel limbo incerto dell’indefinito sistematicamente emendabile o rinviabile.

Calenda e il ruolo trasformativo del sapere

Carlo Calenda, persona di spessore culturale e politico di rango, sembra aver compreso questa necessità, che diventa compito e impegno da realizzare.

Idee chiare, formulate in modo sintetico e riassuntivo, comprensive delle esigenze colte dalla lettura della realtà e possibili basi di partenza per un riposizionamento politico che si ponga come alternativa concreta ed esperibile ai populismi e ai sovranismi emergenti, pena l’inazione lungo un lasso di tempo insostenibile per un radicale cambiamento nella direzione della ripresa e dello sviluppo.

Calenda ha ben compreso, infatti, che l’alternativa al presente può realizzarsi solo attraverso un deciso ricambio della classe dirigente: per questo sostiene da tempo che la conoscenza debba essere utilizzata come principale agente di cambiamento. Sostiene Calenda:

“Serve un piano contro analfabetismo funzionale. Partendo dalla definizione di aree di crisi sociale complessa dove un’intera generazione rischia l’esclusione sociale. Estensione del tempo pieno a tutte le scuole. Programmi di avvio alla lettura, lingue, educazione civica, sport per bambini e ragazzi. Utilizzo del patrimonio culturale per introdurre i bambini e i ragazzi all’idea, non solo estetica, di bellezza e cultura. E’ nostra ferma convinzione che una liberal democrazia non può convivere con l’attuale livello di cultura e conoscenza. L’idea di libertà come progetto collettivo deve essere posta nuovamente al centro del progetto di rifondazione dei progressisti”.

Pensiero critico come metodo

Introdurre il tema della “conoscenza” in un progetto di crescita e sviluppo del Paese significa acquisire un metodo basato sull’uso del pensiero critico. Non è poco per un Paese abituato ai luoghi comuni, dove la politica da tempo gioca al ribasso culturale.