Dunque, un recente sondaggio pubblicato nella trasmissione ‘Piazza Pulita’ – e quindi già in un talk televisivo noto per la sua faziosità politica – i sindacati rappresenterebbero appena il 28,5% dei lavoratori, contro un 55,5% che dice che non li rappresenta più e un 16% che non si esprime. Un dato, questo, che liquida da solo tutta la narrazione di Landini che sentenzia, goliardicamente, che la sua sigla sindacale, la Cgil, rappresenterebbe quasi per intero i lavoratori del nostro paese. Ora, al di là di Landini che confonde la virtualità con la realtà oltre ad essere oggettivamente pericoloso per il suo continuo ed insistente invito ed incitamento alla “rivolta sociale” contro l’attuale Governo che ormai – secondo la sua versione – lo considera un vulnus per la conservazione della democrazia italiana, c’è da essere seriamente preoccupati se anche a ‘Piazza Pulita’ emerge che il sindacato è ormai un soggetto del tutto marginale e
periferico nello scacchiere sociale e politico del nostro paese.
Quando la percezione popolare è che il sindacato, storico pilastro e presidio dell’assetto democratico e costituzionale del nostro paese, non rappresenta più i lavoratori significa che la qualità della nostra democrazia si sta impoverendo progressivamente. Ed è proprio di fronte a questo scenario che ci dobbiamo porre semplicemente perché tutto ciò capita concretamente. Non c’è, come ovvio, una risposta immediata e nè, tantomeno, esiste una ricetta per sciogliere positivamente questi nodi. Ma, almeno su un aspetto, non possiamo non essere chiari seppur consapevoli delle enormi difficoltà riconducibili alla crisi cronica degli strumenti di mediazione di rappresentanza democratica. Oltre ai partiti, e più dei partiti, appunto i sindacati. La cosiddetta “disintermediazione dei corpi intermedi”.
Ora, la risposta a questa pesante crisi di fiducia non può certamente essere la ricetta della Cgil attuale, cioè di un sindacato che da un lato si è ormai trasformato in un partito a tutti gli effetti – che punta, quasi plasticamente, a diventare il partito leader dell’alternativa politica al centro destra – e, dall’altro, solletica gli istinti più triviali, e forse anche più violenti, della società per perseguire un disegno squisitamente ed autenticamente politico. La ricetta, checchè se ne dica, continua a risiedere nella storica cultura della Cisl. E cioè in un sindacato che antepone il merito delle questioni alle pregiudiziali ideologiche; in un sindacato che privilegia la contrattazione e quindi il dialogo e il confronto rispetto al mero scontro politico ed ideologico; in un sindacato, infine, che non fa dello scontro frontale e della divisione cronica la sua ragion d’essere ma indica la sua priorità nel difendere concretamente gli interessi, le istanze e le domande concrete dei lavoratori e
dei ceti popolari. Una concezione, questa, che è sicuramente più moderna e più contemporanea perchè la stella polare resta sempre quella di porre gli interessi del s i n g o l o l a v o r a t o r e a l c e n t r o d e l l ’ a g e n d a d i un’organizzazione sindacale.
Dopodiché, e come ovvio, se non ritorna la fiducia negli strumenti democratici previsti dalla nostra Costituzione difficilmente si potrà invertire la rotta. Una rotta che rischia, purtroppo, di essere esplosiva sotto il profilo democratico se lega la crescente personalizzazione della politica e dei partiti con un sindacato in preda ad una deriva massimalista ed estremista che rischia di sconfinare anche nella violenza. Per il momento, e per fortuna, solo verbale. Ma, comunque sia, adesso il nodo non può non essere affrontato e sciolto. E, purtroppo, già sappiamo quale sarebbe l’alternativa.