Dunque, ormai è un fatto abbastanza condiviso. E cioè, la Dc non torna più perché la Dc, per dirla con Guido Bodrato, è stata un “fatto storico” e pertanto e’ una pratica politicamente archiviata. Ancora da studiare a lungo, da approfondire e da indagare sotto il profilo politico, culturale e storico. Uscendo definitivamente, speriamo, da quella delegittimazione e da quella demolizione politica e storica che ha caratterizzato, e per molti anni, il comportamento della stragrande maggioranza dei commentatori, dei politologi e degli intellettuali cosiddetti “progressisti”. Esaurita la Dc e steso un sincero silenzio verso tutti coloro che, maldestramente e con un pizzico di tenerezza, pensano di riproporla nell’attuale contesto politico italiano, resta aperta una domanda. E cioè, ma chi tenta, goffamente, di scimmiottare oggi il comportamento, la prassi e la politica dei “democristiani” che ruolo e che futuro potranno avere? Perché in questa singolare categoria non ci sono soltanto alcuni settori nostalgici o di chi usa strumentalmente quel marchio per ritagliarsi uno spazio di potere personale e cercare disperatamente di strappare qualche seggio parlamentare. In effetti, e come da copione, prosperano personaggi in cerca d’autore e, soprattutto, leader politici di primo piano che riscoprono tardivamente e misteriosamente una curiosa vocazione democristiana.
Lo leggiamo quotidianamente su molti organi di informazione e lo ascoltiamo, quasi con incredulità, nei diversi e svariati convegni sulla presunta eredità politica e culturale della Democrazia Cristiana. Ne ha parlato curiosamente anche il Presidente Conte quando, ad un convegno ad Avellino e di fronte a molti leader e statisti Dc del passato, ha trasmesso la sensazione di un forte attaccamento allo stile, al progetto e all’esperienza della Democrazia Cristiana. Cito il Presidente Conte ma gli esempi si potrebbero moltiplicare perché non passa settimana che germoglino, qua e là, vocazioni a riproporre e a rideclinare – seppur in forma aggiornata e rivista – l’esperienza cinquantennale della Dc nella cittadella politica italiana. Una tentazione trasversale che spazia dal centro destra al centro sinistra. Per non parlare delle fantomatiche espressioni di “centro” che da circa 25 anni, cioè dalla fine dalla Dc, cercano disperatamente di riproporsi all’attenzione del circo mediatico/politico.
Ora, di fronte a questo rifiorire periodico delle più diverse e svariate Dc bonsai, forse è giunto anche il momento per arrivare a due conclusioni, semplici ma dirette.
Innanzitutto chi è stato democristiano, chi ha votato la Dc e chi ha condiviso lo stile e il comportamento politico dei democratici cristiani, difficilmente può rinnegare o respingere quella straordinaria esperienza politica culturale, programmatica e di governo. E anche quella irripetibile comunita’ di uomini e di donne. E questo al di là delle mode, dello scorrere del tempo e del profondo cambiamento storico e politico della società italiana.
In secondo luogo, però, e con altrettanta chiarezza, forse va detto che tutti gli innumerevoli e neofiti aspiranti democristiani hanno poco senso e poco spazio politico senza quel contenitore politico, culturale, programmatico ed organizzativo che si chiamava semplicemente Democrazia Cristiana. E questo perché quella straordinaria esperienza politica si intrecciava con i suoi dirigenti e con i suoi elettori. In una parola, con il “suo popolo”. Dividere l’uno dall’altro, oltreché impossibile, rischia anche di essere una operazione maldestra per il dovuto rispetto della storia della Dc da un lato e per evitare di confondere la cultura e il progetto politico di un grande partito con la comprensibile e legittima ambizione di potere di qualche gruppo o di qualche singolo dall’altro.
In sintesi, non esiste la Dc senza i democristiani ma, soprattutto e semplicemente, non esistono i democristiani senza la Dc.