[…] Il sistema politico è una risposta all’esigenza di governare la società e si basa sul consenso ma anche sul mantenimento delle libertà individuali, nell’esercizio della giustizia, giacchè il consenso può essere anche un esigenza di governo “forte”. Ogni forma di governo liberale deve basarsi sul concetto che il governo in sé rappresenta una necessaria risposta alle esigenze di chi “offre” il consenso, ossia dei “governati”.
Spesso si commette l’errore di accettare il concetto di sovranità come generalizzazione dell’ordine costituito, determinando in tal modo stati di emergenza dalle normali condizioni politiche. La concezione della “sovranità” è un riflesso del sorgere della forma comune o moderna di governo: lo stato. Esso rappresenta anche l’emergere di una somma di ordini caratterizzati dall’azione stessa del governare e quindi dobbiamo negare che: “quando studiamo una precisa organizzazione politica dobbiamo prendere in considerazione il problema del mantenimento dell’ordine sociale in un determinato ambito territoriale, mediante l’esercizio di una autorità coercitiva che richiede l’uso e la possibilità dell’uso della forza fisica”.
Ogni governo democratico deve impedire il regresso dei cittadini verso forme di prevaricazione, in quanto la politica rappresenta la più elevata attività tendente alla partecipazione al potere, inteso come onesta e coerente gestione dei comuni destini, sforzandosi di concorrere alla negazione dell’idea di uno stato che si arroga arbitrariamente l’uso della coercizione spirituale e della violenza.
La forma di governo ottimale è quella per la quale l’affermazione della verità sul proprio funzionamento e sulla propria efficacia pratica, non ne comprometta l’esistenza stessa. In definitiva, senza dilungarci troppo su tematiche che possono portarci fuori dallo spirito e dal fine dell’argomento, dobbiamo fortemente sottolineare che la presenza di un interesse politico all’interno di una società, è di per sé stesso sintomo di libertà, che è in stretta dipendenza della politica, così come questa lo è dalle forme di governo praticate. L’attività politica si definisce come una pubblica relazione tra individui che hanno conquistato lo “status” di uomini liberi, soggetti di diritto. La libertà è, perciò, una derivazione di un sistema politico-culturale presente nella società ed il successo dell’attività di un governo è strettamente connesso con la possibilità di determinare la volontà dei cittadini, messi in condizione di esprimere le proprie idee.
I principi giuridici per essere fondati si devono riferire ad un superiore criterio di giustizia e devono essere conformi alla ragione, perché la coscienza giuridica non è creatrice del diritto, ma indicazione nel tempo di ciò che deve essere. I diritti umani sono preesistenti ai giuristi, ai filosofi ed anche ai legislatori, perché “non auctoritas facit legem, sed veritas”. La scienza politica non costruisce gli uomini ma li prende come li ha fatti la natura e deve utilizzarli come sono. Quindi non possiamo definire “politica” quella che non rispetta i diritti umani secondo natura e né il fine al quale l’uomo è stato ordinato da Dio. L’autorità politica deve sempre sentirsi limitata dalla libertà “naturale” dei cittadini.
Pio XII sosteneva che: “è erroneo quel principio per il quale l’autorità dello stato (e quindi del legislatore) è illimitata, perché vi è una legge superiore moralmente obbligante”(7). Si ricava da ciò la moderna concezione dello stato come “momento unitario di consapevolezza giuridica all’azione”, che deve avere una funzione di coordinamento, di iniziativa, ma sempre subordinate rispetto al primato della persona e dei suoi diritti.
Il dovere del legislatore è di garantire la difesa morale e giuridica con i caratteri di “potere”, “diritto”, “forza”: si tratta del cosiddetto principio di “sussidiarietà della società rispetto alla persona, legiferando ai fini del bene comune e “sussidiarietà” vuol dire “responsabilità partecipata”, o per meglio dire, “autorità partecipata”. Così si qualifica la “democrazia della partecipazione”, fondata sulla dottrina del personalismo sociale tomistico per il quale il cittadino come “fine in sé” preordina ogni finalità sociale. Il legislatore deve tenere conto che la società è endogena alla persona, non in senso immanentistico-idealistico, ma nel senso che la persona contiene già in sé la sua vocazione sociale.
Libertà ed autorità quindi non sono inconciliabili nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, che poi sono i diritti naturali dell’uomo. Il legislatore, tenendo conto della volontà dei cittadini, opera affinché la libertà incondizionata si trasformi in libertà come consenso allo stato che, per questo motivo abbiamo definito come “creatività partecipata”. In tal modo il cittadino avverte la coscienza della sua partecipata”. In tal modo il cittadino avverte la coscienza della sua personalità, dei suoi diritti ed anche dei suoi doveri.
Giulio Alfano è docente alla Università Lateranense. Sopra è lo stralcio della parte conclusiva di un testo più ampio. Per la versione completa digitare il seguente link DEI DIRITTI E DEI DOVERI