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domenica, 6 Luglio, 2025
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La fantasia al potere? Ecco la pace ministerializzata

Quando una buona intenzione rischia di diventare una chimera. Il più alto garante dell’osservanza dell’art. 11 della costituzione è il Presidente della Repubblica. Continua il dibattito sull’utilità di un dicastero ad hoc per la pace.

Una cultura della pace dimenticata

Giusto sostenere sempre e comunque le ragioni della promozione della pace nella coscienza pubblica di un Paese — se si preferisce: di un popolo — tant’è che si parla spesso di una “cultura della pace”, ma purtroppo, nel nostro Paese, questa è da tempo relegata nel dimenticatoio. Considerata tra i valori acquisiti, la si dà per scontata, come se la sua linfa vitale bastasse a se stessa. Ma così non è.

La pace è un valore universale e, come tale, viaggia insieme all’umanità. Quando il corso dell’umanità vacilla, a causa dei molti conflitti in essere — non tutti necessariamente guerre militari — allora anche il valore della pace comincia a vacillare, e sorgono azioni a sostegno.

Dalla promozione alla propaganda

Queste azioni, pur legittime, talvolta travalicano il senso stesso dell’universalità del valore. Se un Paese ritiene necessario istituzionalizzare la promozione della pace entro i confini di una struttura statale, deve ammettere che non si tratta più di un valore universalmente riconosciuto, ma di un bene da custodire, quasi da proteggere. Peggio ancora, si potrebbe scivolare verso l’idea di una “propaganda” della pace, evocando — sia pure involontariamente — modelli dittatoriali in cui esisteva un ministero della propaganda incaricato di promuovere valori di regime. La pace, in quanto valore universale, non avrebbe bisogno di essere propagandata.

Il nodo delle risorse

Anche qualora la coscienza pubblica accettasse l’istituzione di un Ministero della “propaganda della pace”, ci si scontrerebbe subito con il problema delle risorse. In un Paese in cui sei milioni di cittadini faticano ad accedere alle cure sanitarie, ai beni primari, alla scuola e al lavoro — e in cui oltre due milioni hanno smesso perfino di cercare un sostentamento — le risorse pubbliche sono esigue e destinate, giustamente, a queste priorità.

Chi vive queste condizioni non rinuncia alla pace, tutt’altro. Ma non può destinare nemmeno una piccola parte delle proprie risorse alla sua promozione. Sono proprio queste persone che dovrebbero essere messe al centro di ogni riflessione sui nuovi assetti istituzionali, e finora di questa attenzione non v’è traccia. Viene in mente, con sottile amarezza, la riflessione di Tolstoj: prima risolvere i problemi fondamentali della sopravvivenza, poi occuparsi degli altri aspetti della vita sociale o politica.

Ruoli già assegnati

Si può certo ipotizzare una figura rappresentativa, snella e senza portafoglio, con funzioni di promotore di azioni “di pace” presso le istituzioni e la cittadinanza. Ma questo ruolo è già coperto: la Difesa, nel rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, è attiva in missioni di peace-keeping e peace-enforcement (la prima in Libano, nel 1982); gli Affari Esteri, con la cooperazione internazionale, hanno tra i loro compiti proprio la promozione della pace.

Se non lo fanno loro, si dovrebbe concludere che esista una “cooperazione non pacifica”, il che è una contraddizione in termini. Inoltre, la pace ha bisogno di ingenti risorse finanziarie: chi conosce il funzionamento delle istituzioni sa che entra in gioco inevitabilmente il Ministero dell’Economia. Perché non allocare lì, accanto alla “cassa”, anche la pace?

E infine c’è il Presidente della Repubblica, capo delle Forze Armate e garante della Costituzione, che ha il compito di vigilare sul rispetto dell’articolo 11: promozione attiva della pace attraverso il ripudio della guerra, la cooperazione internazionale e l’adesione ad organismi che mirano a garantire pace e giustizia.

La pace ha già una casa

In questo quadro, i cittadini hanno un ruolo attivo nella costruzione di un mondo più pacifico. Lo disse anche Papa Paolo VI: “La pace è un dovere, prima che un diritto”. La pace, insomma, ha già la sua sede naturale: la Presidenza della Repubblica. I Padri costituenti, reduci da una guerra mondiale, l’avevano ben previsto. Se avessero temuto un futuro pericoloso per la pace, avrebbero previsto un ministero ad hoc. Non lo fecero.

A meno che, tirando le somme, non si debba concludere che il progetto, in gestazione da otto anni, stia perdendo forza. Un tempo lungo abbastanza perché un’idea fresca diventi una vecchia soluzione. Esaurita la spinta emotiva, con una cittadinanza stanca e sempre meno partecipe delle consultazioni pubbliche, la soluzione istituzionale rischia di ridursi a un espediente: uno strumento per togliere d’impaccio tutti, con buona pace — è il caso di dirlo — di ciascuno.