Dopo aver annunciato una tregua pasquale di 30 ore delle operazioni militari in Ucraina, Putin non ha mantenuto la parola e l’esercito russo ha continuato a bombardare con attacchi aerei, a mezzo di droni e via terra il martoriato Paese. Una promessa senza esito, forse per dimostrare agli USA una disponibilità al dialogo che facesse seguito al massacro di Sumy: in realtà nemmeno un’ora è stata sospesa l’aggressione e l’annuncio di tregua da parte del Cremlino appariva in sé riduttiva, una farsa rispetto ai trenta giorni proposta dagli americani negli incontri bilaterali di Riad. Lo zar ha per l’ennesima volta dimostrato la propria inaffidabile e pervicace intransigenza, continuando a colpire l’Ucraina come era accaduto in occasione del Natale ortodosso il 7 gennaio scorso: solo lo scambio di prigionieri (246 soldati russi e 277 soldati ucraini) parrebbe aver avuto luogo. La strategia di Mosca è saldamente e crudelmente ancorata alla scelta del massacro e dello spargimento di sangue, anche dei civili, delle donne e dei bambini, che continua ininterrottamente dopo Bucha e Kramatorsk, bombardando ospedali e abitazioni senza ripensamenti o remissioni.
Come abbia potuto mentire e poi presentarsi davanti al Patriarca Kirill insieme al sindaco di Mosca Sergey Sobyanin per partecipare alla funzione ortodossa per la Pasqua. nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, con la candela in mano e facendosi più volte il segno della croce, non è dato sapere. Basti pensare che lo stesso Kirill che ha officiato la celebrazione religiosa ha descritto la Pasqua non come redenzione e resurrezione bensì come “vittoria sul male”: è noto infatti che il capo della chiesa ortodossa provenga – come Putin – dalle file del Kgb e come dall’inizio dell’operazione militare speciale sostenga la guerra e i massacri del popolo ucraino come una scelta di civiltà che prevede – anche per i morti russi sul campo di battaglia, anzi soprattutto per loro – che vengano spalancate le porte del paradiso. Ciò mentre il ministro degli esteri Sergei Lavrov rafforzava il teorema secondo cui l’U.E. vorrebbe “riportare in vita l’ideologia nazista europea”, un mantra ripetuto in più occasioni, falsificando la Storia in modo spudorato.
Di fronte a questo quadro che rappresenta l’icona di una politica menzognera non si riesce a comprendere come la propaganda filorussa continui ad imperversare in Italia mistificando sistematicamente la realtà.
Da parte sua Trump dopo il siparietto dell’incontro con Zelensky alla Casa Bianca – rinnovato con pesanti accuse ed espressioni di disistima verso il presidente ucraino – sembra aver adottato una strategia di sotteso o palese disimpegno, minacciando il ritiro da ogni negoziato di pace e di fatto mettendo sullo stesso piano il Paese aggredito e quello aggressore, differenza invece chiaramente e senza retropensieri rimarcata dalla premier Giorgia Meloni proprio nell’incontro recente con il presidente americano.
Una distinzione dirimente che sembra ispirare 26 stati su 27 dell’Unione europea ma che trova diffidenza ed apparente equidistanza oltreoceano, perché a Trump interessa più un cordiale rapporto con Mosca che con Kyiv: il vero nemico degli USA a guida repubblicana è Pechino e la sua forza di penetrazione economica nei mercati. Dalle imposizioni dei dazi commerciali alle successive alterne smentite il capo della Casa Bianca esprime una linea protezionistica e intransigente, nonostante i moniti del presidente della Federal Reserve System Jerome Hayden Powell che l’ha contestata senza attenuanti, ma anche di larga parte dell’opinione pubblica americana, considerate le manifestazioni di dissenso in piazza in ogni stato federale.
Si aggiungano le mire di annessione e/o di conquista del Canada e della Groenlandia – “ci servono e li prenderemo ad ogni costo” – che non assomigliano a una boutade ma esprimono una strategia minacciosa e predatoria inusitata: quanto conti per Trump il principio di autodeterminazione dei popoli assomiglia non poco alle mire imperialiste del Cremlino messe in atto nei confronti dell’Ucraina, che in Europa alimentano preoccupazioni verso successive espansioni. La più grande ed evoluta democrazia del mondo sta diventando di fatto un regime autocratico, al pari di Russia e Cina e ciò prelude a nuovi scenari nella geopolitica in direzione di un ordine mondiale fondato sulle spartizioni e i monopoli.
L’ultima prodezza del titolare della Casa Bianca, ovviamente condivisa dal suo entourage di oligarchi, è certamente l’attacco all’Università di Harvard – asseritamente giustificato come errore materiale per una mail inviata per sbaglio – con tanto di revoca di due miliardi di dollari di fondi federali. Dall’inizio del suo mandato soprattutto per voce del vice J.D. Vance l’insediata presidenza USA ha messo in atto un attacco senza precedenti verso il mondo della cultura e i pubblici dipendenti: soldi buttati al vento, perché Trump – all’apparir del vero – privilegia una gestione mercantile e privata, egoistica della politica.
Quanto potrà sopravvivere a sé stesso saranno il tempo e i danni provocati a stabilirlo.