Nel tempo di Avvento si attende la nascita del Figlio di Dio. La liturgia rammenta a quanti di fede cristiana l’episodio dell’Annunciazione, il “fiat” di Maria e lo svolgersi della storia per come la conosciamo. Sembrerebbe che almeno da principio, a parte la scarsità di mezzi, per la Santa Famiglia le cose siano andate bene senza affanni particolari. Sono poi occorsi trentatré anni per vedere Gesù morire in croce per la salvezza dell’umanità. Eppure sin da principio le difficoltà non sono mancate.
Il “Divino” irrompe nella vita di una giovanetta
L’apparizione di un angelo non è cosa di tutti i giorni, è qualcosa che lascia un sicuro turbamento. La creatura celeste non si è limitata a raccontare una qualche profezia. Ha detto ad una giovanetta che diventerà madre del Figlio di Dio, non un fatto da dimenticare il giorno seguente. La vita di chiunque ne resterebbe sconvolta.
È lecito immaginare che a Maria sia accaduto tutto questo, il piano della sua vita è travolto. Prima del suo assenso, avrà dovuto confrontarsi con Giuseppe, a sua volta espropriato di una esclusiva paternità, ed ottenerne la complicità. Avrà dovuto accettare la scelta di Dio su di lei ed insieme anche la sorte che è prevista per il suo Gesù inchiodato ad un legno. Difficile credere che l’angelo possa averle sottaciuto un esito di tal genere. Il Dio di Abramo ama e non inganna.
Un assenso pieno di tormenti
Avrà passato giorni e notti nell’angoscia per chiarirsi le idee. Accettare di convivere una maternità con il Creatore non le sarà stato agevole. Dall’inizio della sua predicazione quel figlio si è distaccato da lei per obbedire ad una missione prioritaria a tutto. L’allontanamento, anche parziale, della prole è qualcosa che è nel destino di ogni genitore ma resta doloroso.
Sul fondo, sempre l’incubo per quella fine atroce e ineluttabile. Gesù morendo le darà un’altra impresa da sopportare: essere madre della Chiesa con tutti i suoi peccati. Con la risurrezione e l’ascensione in cielo Gesù se ne andrà per la seconda volta lasciandola nuovamente sola.
La Pietà di Michelangelo
Nella Pietà michelangiolesca, oltre alla pena, potrebbe esserci azzardatamente anche un’altra chiave di lettura. La morte diventa uno strumento finalmente per il ricongiungimento della Madre con il Figlio. Non soltanto perché ora la crudeltà degli uomini di quel corpo non sa più che farsene e lo ha restituito alla Madonna.
Ora il suo Gesù ha smesso di peregrinare per offrire la Parola al mondo. Ha smesso di anteporre la sua missione agli affetti domestici. Ora le carni e le spoglie tra le sue braccia sono esclusivamente sue, ora le appartiene pienamente e la loro relazione riprende la totale ampiezza, compromessa dall’inizio della vita pubblica del Figlio di Dio.
A breve, Lei sa che ci sarà la risurrezione e si aprirà un altro inedito capitolo della sua unione a Gesù. Nostra Signora è consapevole di tutto questo e lo strazio della morte concede anche una totalità di rapporto che non può essere interferita da nessun altro, forse neanche da Dio Padre.
Il marmo è una pietra che ferma una situazione, che gela il dolore in modo che non possa più vibrare i suoi effetti. Il suo bianco è un anticipo di luce e di gloria. Lo scultore non ha usato il marmo nero Marquinia ma quello splendente di Carrara. Ora Gesù si abbandona finalmente alla madre, quasi si ristora, prendendo il suo tempo di riposo prima dell’ultima impegnativa prova della Risurrezione.
L’anticipo dell’eternità
La Pietà non è soltanto la rappresentazione di una tragedia ma l’anticipo più prezioso dell’eternità indissolubile dell’amore tra madre e figlio.
Tutto questo segue all’Annunciazione, molto e di più di quanto sbrigativamente ci raccontiamo con il presepe, come fosse una favola priva di effetti inauditi, forse fuori dalla nostra portata ma non abbastanza per non provare a sperimentarli intimamente da qui a Pasqua.

