La nuova Rai della Meloni tra D’Annunzio e Putin

Fresco di nomina, Giampaolo Rossi ha voluto battere un colpo circa la linea editoriale della Rai. L’accenno a D’Annunzio e all’impresa di Fiume può evocare sotto traccia la “comprensione” per la guerra di aggressione russa.

L’uscita di Giampaolo Rossi su D’Annunzio e l’impresa dei suoi Legionari a Fiume, richiede un più preciso inquadramento. Non è una boutade sulla quale intrattenersi disinvoltamente, senza mettere testa a ciò che lascia intendere e significare in termini politici. Appena insediato alla direzione generale, Rossi ha voluto battere un colpo a chiarimento della linea editoriale della Rai e del ruolo che l’azienda può svolgere nel tratteggiare l’identità di un’Italia che la destra aspira a rigenerare nell’ascesi laica del tradizionalismo patriottico. È un messaggio neanche troppo subliminale di cui per primo Roberto Sergio, assurto al massimo vertice amministrativo della Rai, deve tener conto. In effetti, sembra di assistere a un rovesciamento di ruoli, con il direttore generale che fissa la rotta al posto dell’amministratore delegato. D’altronde l’impegno contratto all’atto delle nomine prevede che già nel 2024 si addivenga al passaggio di consegne, dando a Rossi pieni poteri. E già la cosa non è bella. 

Siamo dunque all’antifona della “nuova Rai” targata Meloni. Non è un mistero, né tanto meno un’illazione: in fondo, sostengono gli animatori o i supporter della svolta, è l’applicazione dello spoil system. E tuttavia non è così, si va oltre la classica attribuzione delle spoglie dopo la vittoria sul campo di battaglia elettorale. Si accarezza, infatti, il sogno di una nuova “ideologia nazionale” in grado di trasformare il consenso elettorale in egemonia culturale sotto le insegne della destra. Di per sé appare tutto legittimo, essendo la democrazia il terreno di confronto, anche duro, tra idee e prospettive diverse, sempre nel rispetto tra le parti in gioco. Senonché, i segni di una destra originariamente abituata a risolvere con lo slogan “non rinnegare, né restaurare” il confronto con l’esperienza mussoliniana, e perciò masticando volentieri la formula dell’oltrepassamento della dialettica tra fascismo e antifascismo, non sono mai distaccati da reminiscenze che poi, in qualche modo, non finiscano per influenzare la politica dell’oggi. 

Tornano i miti, magari circonfusi di un alone di banalizzante discorsività, come nel caso dell’eroica impresa – in realtà un’avventura pericolosa che trovò concordi, per una volta almeno, Giolitti e Sturzo nella operazione di disinnesco conclusasi con il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 – che compì D’Annunzio in nome della italianità del territorio di Fiume, pur essendo la città “indipendente” per le cancellerie europee (e tale rimase dopo il Trattato). Fu un gesto “à la Putin” perché violava l’equilibrio internazionale, di per sé molto fragile all’indomani della Prima Guerra mondiale, dando sfogo nel Paese al mix di nazionalismo e anarchismo veicolato dalla reazione di reduci e sbandati per la cosiddetta “vittoria mutilata”. 

Ora, verrebbe da chiedersi se il direttore generale della Rai non corra il rischio, con questa evocazione del gesto dannunziano, di scivolare nella palude degli equivoci e delle supposizioni: non è lui, Giampaolo Rossi, l’intellettuale meloniano da sempre riluttante alla condanna dell’invasione russa? Lo si conosce, in verità, come assertore della tesi “giustificazionista”, giacché qualche ragione Mosca l’avrebbe, a suo dire, almeno per quanto riguarda la rivendicazione dei territori russofoni del Donbas. E poi sempre secondo lui, uomo forte di Viale Mazzini, fino a ieri abituato a parlare un po’ più liberamente, l’Occidente avrebbe le sue colpe (cominciando dal Vietnam) e dunque mancherebbe di credibilità nel condannare senza appello l’Operazione speciale scatenata dal Cremlino.

Se questo innesca perciò un sospetto, del tutto lecito in un contesto di libera dialettica democratica, è proprio a motivo di tale implicita saldatura tra la storia dell’occupazione di Fiume e l’attuale drammatica vicenda della guerra putiniana in Ucraina. Il nazionalismo portò D’Annunzio a occupare oltre confine (a quel tempo non ancora definito dalla Conferenza di Pace) la città simbolo della italianità, nel mentre adesso lo stesso nazionalismo ha portato Putin a occupare oltre la frontiera (invece riconosciuta sul piano internazionale) le terre che possono essere riconducibili per storia e tradizione, anche linguistica, alla sovranità della Grande Madre Russia. A voler ricordare “una delle grandi epopee libertarie della storia”, come Rossi ha descritto la vicenda fiumana di D’Annunzio, si può arrivare appunto alla tacita e benevola comprensione dell’epopea del nazionalismo. Ieri come oggi.