Per vivere in pace bisogna fare la pace e custodirla con cura. Sin dalla genesi la storia umana è segnata dal conflitto tra il bene e il male, tra pace e guerra. Tra Eros e Thanatos. Il dolore lacerante della devastazione fa urlare il desiderio di pace. Ma come si fa la pace, chi la fa, cos’è, come si mantiene?
Gli accordi fermano le armi, non guariscono i cuori
Tutte le guerre finiscono con accordi che comunemente definiamo di pace. La guerra è sempre una sconfitta dell’umanità e gli accordi per la sua fine sono sempre imperfetti, spesso orridi, perché sempre ingiusti. Sono intese per la cessazione delle attività belliche che pongono fine allo spargimento di sangue, sancendo spartizioni di terre, confini militari e geopolitici, separazioni di popoli e interessi economici. Ma non sanano i cuori devastati dall’orrore della violenza: l’odio rimane a bruciare sotto la cenere.
Fare la pace è un processo umano lungo e difficile che poi tocca ai popoli. Gli accordi che sancirono la fine della Seconda guerra mondiale furono terribili: a Yalta i governanti vincitori (tra cui lo spietato Stalin) stabilirono spartizioni sulla pelle di milioni di esseri umani. Dopo il mattatoio che ebbe il suo apice con la Shoah e con l’atomica su Hiroshima e Nagasaki, quello fu comunque un momento di liberazione che aprì alla speranza di un mondo migliore, alla nascita dell’Onu e dell’Europa.
La riconciliazione è un cammino interiore
La riconciliazione umana, culturale e politica con la Germania e l’Italia dei criminali nazifascisti fu lunga, e ancora oggi abbiamo scorie velenose che riemergono. E sarà così anche per l’auspicato accordo che possa porre fine al disumano conflitto israelo-palestinese, come per quello che si spera un giorno possa avvenire tra Ucraina e Russia.
Fare la pace è un processo complesso di conversione umana che non possono risolvere i trattati seppellendo l’ascia di guerra. È nella mente e nei cuori che Eros e Thanatos si scontrano. Libertà e uguaglianza non bastano senza l’affermazione della fraternità.
Carlo Maria Martini ha detto: «Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace».
Le fondamenta della pace: popoli, città, fedi
È questo processo interiore che pone le radici per una pace duratura, ma è anche quello più difficile perché richiede il coraggio di ammettere i propri errori e tendere la mano all’altro. La costruzione dell’edificio della pace necessita certo della dignità umana, dei diritti, della libertà, della democrazia nei consessi internazionali e nelle costituzioni degli Stati. Ma non reggerebbe l’usura del tempo se non avesse radici: la costruzione deve partire dal basso, dalle fondamenta.
Settanta anni fa Giorgio La Pira, dopo il famoso discorso sul «Valore delle città» (Ginevra, 12 aprile 1954), promosse a Firenze il convegno dei sindaci delle capitali del mondo per stringere un patto di amicizia e di pace. L’apertura solenne fu la sera del 2 ottobre 1955, con un discorso che ripercorreva la genesi dell’iniziativa e il suo scopo ultimo: dar vita «ad uno strumento diplomatico nuovo che esprime la volontà di pace delle città del mondo», perché «la pace non consiste più in un atto che viene solennemente siglato dai massimi responsabili della vita politica delle Nazioni, ma sempre di più in un processo che nasce dal basso, dalle comunità».
La lezione di La Pira e l’attualità delle fedi
Il 4 ottobre La Pira portò tutti nella basilica di Santa Croce per la Messa celebrata dal card. Elia Dalla Costa. Fece scalpore la foto del sindaco di Mosca, Jasnov, e del potente ambasciatore sovietico Bogomolov che al termine del rito baciavano l’anello di un principe della Chiesa. Ma soprattutto La Pira sottolineava:
«Noi lo abbiamo sempre detto: l’edificio della pace esige, anzitutto, la pace dei popoli con Dio […]. Questo non è un punto accessorio dell’edificio della pace: è il fondamento medesimo su cui esso si erige».
Questa affermazione è quanto mai attuale in un millennio in cui le fedi vengono ancora abusate per giustificare abominevoli crimini contro esseri umani inermi. Dopo i crimini vengono sempre i processi della storia e dei tribunali.
Una responsabilità verso il futuro
Quale eredità vogliamo lasciare ai nostri figli? Papa Leone XIV ricorda: «Dio ci chiederà conto se abbiamo custodito bene questo mondo che Egli ci ha creato a beneficio di tutti e delle generazioni future, e se ci siamo presi cura dei nostri fratelli e sorelle. Allora, che cosa risponderemo?».