La pace, la guerra, il bene comune: da Sant’Agostino a Sturzo.

In una lunga intervista che appare sulla rivista “Il pensiero storico”, l’autore individua nel metodo della libertà la condizione per la concordia civile. Di seguito riportiamo lo stralcio finale dell’ultima risposta.

[…] Il compito della politica, tutt’altro che sovrano, in quanto incontra le pietre d’inciampo poste da altre sfere storico-esistenziali, è servire e nutrire la tranquillitas ordinis, un concetto dinamico, nella quale possa fiorire tale attitudine originaria e sarà questa la posizione che secoli dopo assumerà anche Luigi Sturzo nel negare il primato della politica e nel dichiarare fuorilegge la guerra. In pratica, Agostino afferma che senza la pace «nulla sarebbe affatto», di conseguenza, la pace è la condizione stessa della vita, in assenza della quale non avremmo che il nulla; dunque, neppure la possibilità di dissentire.

In Agostino, dunque, la tematizzazione della pace va ben oltre il campo della politica, poiché la pace si esprime in tutta la sua pienezza nella Città di Dio, lì dove è possibile assistere ad una «unione sommamente ordinata e concorde di avere Dio come fine e l’un l’altro in lui». Nella città dell’uomo, la persona sperimenta invece il travaglio della contingenza: l’insicurezza, le insidie, i conflitti, sin dai rapporti più intimi e prossimi come quelli familiari, fino a quelli più remoti come le relazioni politiche, tanto nella dimensione domestica quanto in quella internazionale. Tuttavia, anche nella città dell’uomo, nelle situazioni più conflittuali, la domanda di pace sarà sempre presente, in quanto autentico scopo della vita umana; si pensi che persino le guerre sono combattute in nome della pace.

È per tale ragione che tanto la persona quanto qualsiasi associazione di persone, come ad esempio la civitas, traggono la loro ragion d’essere, e la stessa possibilità di esistere, dalla pace, una concordia che è resa possibile dall’armonia degli elementi di cui ciascuna realtà è composta; ed è questo il senso ultimo della pace come tranquillitas ordinis. Si spiega la ragione per cui per Agostino, la pace terrena, la tranquillitas ordinis, non sarà mai assoluta, ma sarà sempre intrecciata con il disordine e con il conflitto, mentre si manifesterà in tutta la sua espressione con l’avvento della Città di Dio, lì dove «non vi sarà la vita destinata a morire, ma definitivamente e formalmente vitale».

Nel linguaggio di Agostino, potremmo dire che l’amore concorde per il bene comune è fonte di una pace interna, senza la quale l’ordine politico non potrebbe neppure esistere, ma non sarà mai una pace perfetta, in quanto la concordia civium sarà sempre riferita ad una realtà contingente: «ad mortalem vitam pertinentes».

Sulla base di quanto abbiamo potuto constatare, è possibile affermare che il problema del rapporto tra pace e guerra non sia riducibile alla pur importante questione del disarmo, mentre rinvia primariamente alla dimensione culturale e comporta l’edificazione della civitas, intesa come disposizione a vivere in un intreccio dinamico non gerarchizzato di forme civili: politica, economia e cultura; in tal senso, il bene comune, piuttosto che essere il fine comune verso cui le parti tendono, rimanda, innanzitutto, a un metodo: il metodo di libertà.

Tale metodo passa per il chiarimento del ruolo svolto dalle istituzioni della società civile, immaginando la politica non come una totalità: «il gran tutto», come il campo che perimetra il regno della verità, quanto piuttosto come una forma sociale tra le altre forme sociali non gerarchizzate e tutte limitate dal carattere plurarchico che la società civile è in grado di manifestare. In tal senso, il politico esprime la forma politica della società civile e non della società nel suo complesso. Una forma che contribuirà al bene comune nella misura in cui saprà indicare la via istituzionale che favorisce l’ordine e la pace: la tranquillitas ordinis, per il perseguimento delle condizioni che descrivono il bene di ciascuno.

Spogliata del suo carattere naturale e di quello idealistico-valoriale, la guerra viene ricondotta a ciò che concretamente è: la negazione dell’essere. Non è un caso che nella celebre allegoria del Buongoverno di Siena, la personificazione della pace occupi il centro della scena e che nel pronunciato dai reggenti della città in occasione del loro insediamento venisse enunciato in maniera diretta il compito che avrebbero assunto, impegnandosi a giuramento conservare la città di Siena «in bona pace et concordia».

 

Link per leggere il testo completo dell’intervista pubblicata su “Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee” (n° 14, anno VIII, dicembre 2023, pp. 349). Il titolo del fascicolo è “Maestri per il XXI secolo”.