Componente essenziale della Dc, la sinistra sociale merita di essere attualizzata.

È necessario mettere in campo una ricetta politica - quindi una cultura politica - che sappia trarre dalla crisi sociale la spinta per elaborare una nuova progettualità accompagnata da spiccata cultura di governo.

Ho riascoltato in questi giorni un intervento di Franco Marini durante la presentazione di un mio libro, scritto con l’amico Gianfranco Morgando sulla storia piemontese della sinistra Dc di Forze Nuove. L’iniziativa si tenne all’Istituto Sturzo nel gennaio del 2017. E, sempre grazie all’ottimo servizio di Radio Radicale, mi è stato possibile ascoltare un passaggio importante dell’intervento di Marini sulla cosiddetta “eredità” – tema affrontato anche nel libro – di quella straordinaria esperienza politica, culturale, sociale e istituzionale. E l’eredità si contemplava, a quel tempo, all’interno del Partito democratico.

Ora, seppur il contesto generale rispetto a quella data sia di nuovo radicalmente cambiato – a mio parere in peggio anche se non manca affatto la coerenza di fondo sul profilo e la prospettiva politica del principale partito della sinistra italiana – Marini sostenne in quella occasione che “nel Pd non c’è più traccia della esperienza e della storia della sinistra sociale. O meglio – disse ancora il leader abruzzese – si deve prendere atto che si tratta di una realtà che non è più organizzata anche se nella società più in generale la storia e il pensiero del cattolicesimo sociale continuano ad essere molto presenti, radicati e anche moderni”.

Ecco, sono passati 7 anni da quella riflessione e la situazione non è mutata per quanto riguarda la ‘sinistra sociale’ ma, nel frattempo, è cresciuta la consapevolezza che quella cultura politica, quella esperienza e quel pensiero non possono non fare capolino nella cittadella politica italiana contemporanea. E questo non per una “operazione nostalgia” che in politica non è mai un valore, ma per la semplice ragione che di fronte ad una nuova e dirompente “questione sociale” non può non esserci la presenza di un presidio politico che, seppur con altri, può dare una risposta qualificata e autorevole. Una presenza politica, però, che non può ridursi ad una sorta di mobilio da esporre per le grandi occasioni e i grandi eventi. Perché una esperienza come quella della ‘sinistra sociale’, pur se disorganizzata come diceva giustamente Franco Marini già qualche anno fa, ha un senso ed un significato solo se è in grado di giocare un ruolo politico determinante all’interno di un partito. E, pur non essendoci eredi diretti, è indubbio che esiste una grande e straordinaria eredità politica, culturale e sociale che non può andare dispersa. Soprattutto quando si è in una situazione dove crescono in modo esponenziale le disuguaglianze sociali, la povertà, la disoccupazione, l’emarginazione sociale e, purtroppo, la crisi della speranza e quindi di futuro nelle giovani generazioni.

E la risposta, com’è altrettanto ovvio, non può essere quella fornita dal populismo assistenzialista o dalla sinistra pauperista o, sul versante opposto, da una destra sociale sempre più opaca e priva di identità. È necessario mettere in campo una ricetta politica – quindi una cultura politica – che sappia trarre dalla crisi sociale la spinta per elaborare una nuova  progettualità accompagnata da una spiccata cultura di governo. Due condizioni, guarda caso, che hanno storicamente accompagnato la storia e l’esperienza della ‘sinistra sociale’ democratico cristiana e di alcuni partiti, seppur in forma più sfumata, che sono succeduti alla stessa Dc.

E il monito di Marini in quel confronto dell’inizio del 2017 all’Istituto Sturzo conserva, ancora oggi, tutta la sua attualità e modernità. Ma adesso, però, serve un salto di qualità e una nuova e rinnovata assunzione di responsabilità di chi si riconosce in quella cultura e in quella sensibilità politica, culturale ed etica.