Una consapevolezza nuova nel mondo cattolico
La cosiddetta “Rete di Trieste”, nata all’indomani dell’ultima edizione delle “Settimane sociali dei cattolici” aveva innescato, e giustamente, una discreta attenzione da parte di quello che un tempo si chiamava mondo cattolico. O area cattolica, per dirla con padre Sorge. Un’attenzione dovuta al fatto che serpeggia da tempo nei cattolici italiani una ritrovata consapevolezza attorno alla necessità di rilanciare, o riscoprire, le ragioni di un impegno politico diretto. Certo, nel pieno rispetto del pluralismo politico ed elettorale che caratterizza l’universo dei credenti nel nostro paese ma, al contempo, convinti che senza una partecipazione più significativa nelle dinamiche concrete della politica contemporanea si corre il serio rischio di limitarsi a contemplare, o commentare, ciò che capita nella società senza riuscire ad incidere in alcun modo nelle scelte che si fanno a livello azionale come a livello locale. Ecco, la Rete doveva servire anche e soprattutto come stimolo ad intraprendere questo salto di qualità. Fatta prevalentemente di amministratori locali con il compito preciso di ridare cittadinanza attiva alla cultura del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nel nostro paese.
Un primo bilancio e tre riflessioni
Ora, dopo quasi un anno dalle Settimane sociali di Trieste, si può già tracciare un primo discreto bilancio al netto dell’impegno dei promotori della Rete e dei relativi partecipanti nelle diverse regioni. Al riguardo, si impongono almeno tre riflessioni.
Innanzitutto si ha la netta sensazione, al di là delle buone intenzioni e delle dichiarazioni di principio, che la Rete sia sostanzialmente il prolungamento dell’esperienza di una corrente del Pd. Fatto in sè non affatto negativo ma che, come è facile dedurre, riduce e limita in modo secco l’efficacia, la rappresentatività e il radicamento stesso di questa esperienza associativa.
In secondo luogo la scelta dei responsabili e del coordinamento nazionale. Certo, è una fase sperimentale ed organizzativistica e quindi è inutile soffermarsi ulteriormente. Ma, più che il “sorteggio”, che poi sorteggio forse non è, si poteva individuare un altro metodo probabilmente più consono e più adeguato per dare autorevolezza, peso e reale rappresentatività ad un coordinamento politico nazionale.
Una missione ancora da chiarire
In ultimo, e questo è indubbiamente l’aspetto politicamente più rilevante, qual è il vero progetto politico e la vera ‘mission’ di una “Rete” nazionale degli amministratori locali composta da cattolici presenti nelle più variegate amministrazioni del territorio? Quali sono le infrastrutture culturali, e quindi politiche, su cui devono correre l’originalità e la specificità di una Rete che coltiva grandi ambizioni ma che rischia, pur senza responsabilità alcuna, di diventare uno strumento di ordinaria amministrazione, puramente burocratico e protocollare? Forse anche la CEI, o qualche suo epilogo, dovrebbe manifestare e prestare maggior attenzione ad uno strumento, certamente laico e plurale, ma comunque sia importante per rilanciare la partecipazione e, al contempo, un maggiore protagonismo politico, culturale, sociale ed istituzionale dei cattolici stessi.