In vista delle prossime elezioni politiche, è indispensabile e necessario individuare nella politica estera l’elemento decisivo capace di qualificare un progetto politico e un programma di governo.
Com’era facile prevedere e pensare, la politica estera è destinata a ritornare decisiva e determinante per la costruzione delle future alleanze e coalizioni politiche. Anche e soprattutto nel nostro paese. Certo, arriviamo da una stagione dove la definizione delle alleanze era dettata dai dogmi del populismo e dell’antipolitica. E, di conseguenza, tutto ciò che è stato costruito, pianificato e gestito in questi ultimi anni è stato il frutto di una deriva politica dove proprio la politica estera è stata sacrificata sull’altare nel “nulla della politica”, per dirla con Mino Martinazzoli.
I risultati concreti li abbiamo registrati non solo prendendo atto della fragilità delle coalizioni nate dopo il risultato elettorale del marzo 2018 ma anche, e soprattutto, dalla sostanziale assenza di un progetto politico che fosse capace di orientare e condizionare il ruolo dell’Italia nello scacchiere europeo ed internazionale. E i comportamenti concreti e specifici dei due partiti che in questi hanno dominato e caratterizzato la politica italiana è emerso in tutta la sua contraddizione in questo drammatico conflitto bellico.
È appena sufficiente osservare ciò che capita all’interno dei 5 stelle per rendersene conto. La bilancia oscilla tra l’antica amicizia con la Russia di Putin, sbandierata e urlata in più occasioni e il solito comportamento, ormai quasi scontato, trasformistico ed opportunistico di chi, all’interno di quel soggetto politico, ricopre ruoli di governo. Insomma, sulla politica estera manca una bussola. Ovvero, manca la bussola che permette ad un partito di indicare una strada e al paese una direttrice di marcia coerente e credibile. La stessa cosa la si può evincere guardando la strategia della Lega salviniana. Dal sovranismo e dalla profonda amicizia politica con l’autocrate russo ad una politica della pace che assomiglia più agli ultimi sussulti del pacifismo nostrano che non ad una reale ed autentica politica estera fatta di alleanze, accordi, mediazioni e costruzione di rapporti all’insegna di una politica estera credibile, coerente e possibilmente anche seria. Cioè non sottoposta a continui sbandamenti e a repentini cambi di orizzonte dettati, il più delle volte, solo e soltanto dai sondaggi. Anche perché se c’è un settore che non può essere sottoposto alle leggi dei sondaggi d’opinione questo è proprio il comparto della “politica estera”.
Ma, del resto, e al netto del cambiamento profondo dell’epoca storica in cui viviamo rispetto al passato, anche solo recente, vi immaginate i grandi statisti del passato che hanno ricoperto l’incarico di Ministro degli Esteri nel corso degli anni sottoporre la propria politica estera ai sondaggi di opinione? O i grandi partiti del passato che potessero governare senza un chiaro indirizzo di politica estera?. Quella era, come tutti sappiamo, la stella polare che condizionava e caratterizzava quei partiti popolari e di massa. E, di conseguenza, la politica di un intero paese.
Ecco perché, anche e soprattutto in vista delle prossime elezioni politiche, è altresì indispensabile e necessario individuare nella politica estera l’elemento decisivo capace di qualificare un progetto politico e un programma di governo. Se il tempo di un ridicolo populismo e di un grottesco sovranismo è giunto al capolinea, adesso lo si deve dimostrare con i fatti e non più con il battutismo televisivo o i tweet da tastiera. Governare, soprattutto dopo questa drammatica guerra, è altra cosa. Servono partiti veri e leader capaci e riconosciuti. “L’uno vale uno” può essere tranquillamente archiviato e rispedito al mittente.