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sabato, 8 Novembre, 2025
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La politica resta politica, ma la grafica a New York l’ha resa attrattiva

La vittoria di Zohran Mamdani non è semplicemente l’effetto di un miracolo comunicativo, ma la prova che un linguaggio visivo nato dal basso può diventare leva di consenso politico reale.

Lagenzia minuscola che ha cambiato il volto della politica newyorkese

A conquistare New York non è stato un abile oratore capace di ipnotizzare la gente, ma una formidabile performance in grado di coinvolgere tutti con un codice visivo riconoscibile e attrattivo. Prima ancora del candidato, si potrebbe dire che ha vinto un’estetica. In una città dove le campagne elettorali di solito sanno di potere, con media ingombranti e consulenti milionari, è accaduto l’inimmaginabile: una piccola agenzia di graphic design di nome Forge, è riuscita a costruire un linguaggio visivo così potente da trasformare Zohran Mamdani nel volto più credibile della New York che voleva rinascere dal basso.

Il codice visivo identitario

Nella jungla di manifesti e messaggi elettorali che ogni autunno invadono Manhattan e i cinque borough più esterni, la firma di Forge subito spicca come una scritta al neon, grazie a due amici con padronanza dei computer e una filosofia radicale, che li porta a lavorare praticamente gratis quando credono in una causa. Il loro impegno non assomiglia al fare politica nel senso classico del termine, ma a un qualcosa che richiama fortemente un movimento pop, urbano e collettivo. Lo si capisce subito dalla scelta di una tipografia bold che richiama i poster sindacali degli anni ’70; dalle palette cromatiche prese direttamente dalla città: il giallo della MetroCard, il blu della squadra cittadina dei Mets, il rosso intenso dei cartelli dei minimarket sempre aperti, che i newyorkesi chiamano ‘bodegas’.

Anche l’uso della fotografia naturalmente ha giocato un ruolo decisivo. Una fotografia che potremmo chiamare diffusa, fatta dai mille occhi dei telefonini che hanno accompagnato Mamdani in giro per la città. Foto per lo più documentarie scattate in metro, tra i marciapiedi sconnessi di Queensbridge e le scale antincendio di Jackson Heights, come se la città stessa fosse parte del momento narrativo, in puro stile cinematografico.

Un format replicabile dalla comunità

Quando Zohran Mamdani ha contattato Aneesh Bhoopaty e Phil Ditzler per impostare il visual della sua campagna, il tema decisivo non è stato quello dei loro compensi, ma quello della libertà. E con quella libertà massima che hanno ottenuto tutto è stato plasmato con entusiasmo: icone, loghi, poster, reel, sticker, tutto materiale facilmente replicabile dai volontari, che hanno potuto remixarlo e adattarlo ai diversi quartieri, ai gruppi Whatsapp, alle comunità diasporiche che poi peseranno moltissimo nella mobilitazione al voto. Il risultato è stato un linguaggio riconoscibile al primo sguardo, capace di diffondersi dal basso come un meme.

 

La città si è specchiata nella grafica

La campagna così è diventata un fenomeno principalmente visivo, in sintonia con la città reale. E mentre il suo avversario, interno alla coalizione del Partito Democratico, Mario Cuomo, ha puntato su una comunicazione istituzionale e muscolare, Mamdani ha offerto la narrazione opposta, quella di una politica che appartiene alle comunità e parla il loro linguaggio. La chiave di tutto è stata la grafica. Forge ha reso Mamdani riconoscibile, imitabile, citabile. In una città abituata alle identità forti, questa della comunicazione visiva è stata la più forte. La notte della vittoria, quando Times Square si è riempita di colori e cartelli, è stato evidente che la formula di Forge era riuscita a creare un immaginario condiviso. E quell’immaginario ha vinto.

Mamdani entra al City Hall come il primo sindaco eletto grazie al lavoro quasi volontario di due designer che hanno saputo trasformare una visione politica in un’immagine in cui una città intera ha scelto di specchiarsi.