Dunque, l’alleanza “organica, strutturale e storica” tra il Partito democratico e il partito dei 5 stelle può ancora attendere. O meglio, sempre se abbiamo ben capito, è sospesa per il turno delle amministrative di ottobre dove si eleggeranno i governi locali delle più importanti città italiane e poi dovrebbe riprendere a tutto spiano in vista delle prossime elezioni politiche. Detta così, in effetti, fa ridere. Ma in realtà è proprio come l’abbiamo descritta. E a farne le spese per tutti è questa volta addirittura Zingaretti, l’ex segretario nazionale del Pd che dopo aver rinnegato per mesi, e pubblicamente, l’alleanza con il partito di Grillo l’ha poi ribattezzata come addirittura “storica” per poi ricevere l’altolà proprio dai grillini romani che non hanno affatto gradito la sua “disponibilità”, si fa per dire, a candidarsi a Sindaco di Roma contro Virginia Raggi.
Sembra un paradosso eppure le cronache concrete, al di là della pubblica ipocrisia e delle frasi ad effetto, ci dicono che l’alleanza tra i 5 stelle e il Pd continua ad essere una sorta di “historia dolorum” dove non si capisce ancora bene come possa essere costruita e consolidata sui territori. Perchè un conto sono le pianificazioni a tavolino a livello nazionale e altra cosa, tutt’altra cosa, capire l’orientamento reale dei due elettorati a livello periferico. È stato significativo, al riguardo, il recente incontro del quasi capo Giuseppe Conte con i vertici dei pentastellati torinesi in vista del rinnovo dell’amministrazione cittadina. Tutti i suoi inviti e suggerimenti concreti per costruire l’alleanza giallo/rossa sotto la Mole sono semplicemente caduti nel vuoto per una ragione molto semplice: non sempre con una banale operazione trasformistica, e condotta all’ultimo momento, si possono cancellare 5 anni di reciproci insulti e attacchi personali e politici. Anzi, almeno stando ai resoconti giornalistici locali, alcuni dirigenti dei 5 stelle non hanno affatto gradito l’interferenza verticistica e nazionale su come risolvere i nodi politici locali.
Per non parlare della vicenda di Roma dove dobbiamo prendere atto, piaccia o non piaccia è così, che la leadership politica di Virginia Raggi ne è uscita fortemente rafforzata – e anche con grande coerenza e determinazione – dopo le manovre di potere condite con singolari escamotage regolamentari e condotte dai vertici dei due partiti per intere settimane. Una leadership che ha cancellato, in un sol colpo, le mire di potere di Zingaretti e che ha evidenziato – ed è quel che più conta – che non sempre le strategie politiche coincidono con il volere concreto dei rispettivi elettorati e dei dirigenti centrali. Nello specifico, quel che pensano realmente i 5 stelle.
Ora, se l’obiettivo politico finale resterà sempre quello di dar vita ad una alleanza “organica, strutturale e storica” tra la sinistra italiana e i 5 stelle, è indubbio che prima di sbattere contro il muro dell’incomunicabilità politica o prendere atto della non contiguità delle rispettive classi dirigenti, sarà opportuno anche verificare ciò che concretamente pensano gli elettorati di riferimento e, soprattutto, i territori. Perchè senza questo passaggio si corre seriamente il rischio che il tutto finisca come a Roma e a Torino. Cioè, ognuno per conto suo e con le rispettive liturgie organizzative. In attesa che ritorni la politica. Quella vera, però, e non solo quella ispirata al trasformismo e all’opportunismo.