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domenica, Marzo 23, 2025
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La proprietà privata affonda le radici nella sua finalità sociale

“La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio” (Manifesto di Ventotene). Si tratta, a ben vedere, di un’affermazione coerente con il pensiero cristiano.

Tra gli attacchi che con fascistissima furbizia la premier Meloni ha di recente portato al manifesto di Ventotene vi è stato anche un calcolato riferimento alla proprietà privata per solleticare quelle fasce di elettorato preoccupate di perdere beni sovente acquisiti con sacrifici. Quasi nessun commentatore si soffermato su questo aspetto, che invece merita qualche precisazione e riflessione.

Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell’uso comune dei beni è il “primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale”. Queste citazioni non sono tratte dagli scritti di Karl Marx, né dal diario di Ernesto Che Guevara. Sono piuttosto uno dei capisaldi della dottrina sociale cristiana, annunciata da quasi 140 anni, a partire da Leone XIII, per offrire uno spazio di dialogo e di solidarietà tra le classi sociali. Una dottrina costantemente arricchita e precisata da tutti i Pontefici successivi, in particolare da Giovanni Paolo II nelle encicliche Centesimus annus, Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis.

“Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà, sono subordinati ad essa [destinazione universale dei beni]; non devono quindi intralciarne, bensì al contrario facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria”; queste parole sono nel magistero di Paolo VI con l’enciclica Populorum progressio. 

La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto e intoccabile: “Al contrario l’ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell’intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell’uso comune, alla destinazione universale dei beni”. Queste parole sono tratte dalla Gaudium et spes, uno dei documenti più importanti approvati 60 anni fa dal Concilio Vaticano II, e sono ribadite nel Catechismo della Chiesa cattolica che ogni persona che si accosta al sacramento della cresima deve studiare. La proprietà privata è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio di destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo”. Parole sempre di Paolo VI nella Populorum progressio.

Il rapporto stretto tra proprietà privata e lavoro è ben spiegato da Giovanni Paolo II. “Il diritto alla proprietà privata è subordinato al principio della destinazione universale dei beni e non deve costituire motivo di impedimento al lavoro e allo sviluppo altrui. Ciò vale in modo particolare per il possesso dei mezzi di produzione; ma tale principio concerne anche i beni propri del mondo finanziario, tecnico, intellettuale, personale. I mezzi di produzione in particolare non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono essere neppure posseduti per possedere” (Laborem exercens).

Si potrebbe continuare a lungo, perché, appunto, si tratta di uno dei pilastri fondamentali del cristianesimo.

Un pilastro già esplicito nell’epoca di passaggio dall’età feudale all’epoca moderna quando, per iniziativa di importanti ordini religiosi, si svilupparono le attività creditizie e di banca, seguendo il principio del beneficio comune derivante dalla movimentazione positiva del denaro in contrasto con chi voleva solo accumularlo e possederlo come fine in sé stesso.  

Ora noi non ci permettiamo certo di valutare la misura della religiosità della nostra premier che pure, come altri esponenti della sua coalizione, sente il bisogno continuo di proclamarsi in pubblico come cristiana, e non lesina atti di devozione pubblica, specie nelle occasioni di maggior impatto mediatico.

Ciò che desta però seria preoccupazione è quella miscela di malafede e di ignoranza con la quale, come hanno scritto personalità come il Manzoni o lo stesso Collodi nell’indimenticabile Pinocchio, si presentano quelle persone che hanno come fine quello di imbonire il pubblico, di accalappiare i gonzi e di far fremere i loro stretti sodali e tifosi.

Il manifesto di Ventotene, scritto da personalità estranee alla dottrina sociale cristiana, tuttavia propone alcuni aspetti del tutto coerenti quando richiama la necessità di contrastare la potente alleanza tra i grandi capitali finanziari e i regimi nazi-fascisti che cancellarono la democrazia, le libertà politiche e civili e trascinarono l’Europa nella guerra più sanguinosa e distruttiva di sempre. “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio”. Una affermazione che letta nel contesto del testo e del tempo è davvero coerente con il pensiero cristiano richiamato. E quando, ad esempio, sottolinea l’esigenza di una proprietà pubblica dei settori industriali strategici (come l’energia) e comunque di una presenza dello Stato nell’economia per equilibrare la distribuzione dei beni e l’accesso delle fasce più deboli al lavoro e alla solidarietà sociale. Naturalmente, come tanti hanno ben sottolineato, si tratta di un documento pensato e scritto in un preciso contesto politico, e del quale ciò che resta è soprattutto la sua parte importante, ovvero il disegno della casa comune europea come unico orizzonte di pace, di benessere e di giustizia sociale. 

Tutto il patrimonio ideale e culturale che abbiamo richiamato ben si riassume nel articolo 42 della Costituzione che recita: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Dunque una legittimazione nel quadro della sua utilità al bene comune.

Fatte queste premesse, l’aggressione al Manifesto di Ventotene risulta, non solo un maldestro infortunio politico, ma ancor di più una manifestazione plastica della crassa ignoranza che distingue questo governo e la sua azione. Un governo rappresentativo di forze politiche che in gran parte non si riconoscono nella Costituzione, mal la sopportano e coltivano disegni e proposte chiaramente eversive, soffiando sulle paure e i disagi della popolazione. Sono questi altri degli autentici tratti fascisti della nostra premier che ostenta ignoranza e pressapochismo, che brandisce i valori comuni maturati con il sangue e il sacrificio della lotta antifascista.

Bisogna in ogni modo contrastare questa deriva, certo però con pazienza e pacatezza, ma sempre con competenza e memoria storica, raccontando continuamente agli italiani di ogni contrada la nostra migliore storia comune. E invitando tutti a ragionare senza paure sul bene comune della nostra amata patria Italia, sulla costruzione positiva della nostra casa comune europea.