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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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La sfida dell’autonomia regionale: riformare ma senza dividere l’Italia.

Sintesi dell’intervento del Presidente emerito della Corte costituzionale al convegno promosso dall’ANDC sul tema: “Municipalismo e regionalismo. La Repubblica delle autonomie nella visione democratica e costituzionale” (Roma, Università Lumsa, 5 novembre 2024).

Il problema di fondo di questa nuova e frettolosa “legge Calderoli” rimanda alla stessa fretta che caratterizzò la riforma del Titolo V nel 2001. Allora, una maggioranza parlamentare ormai al tramonto tentò, in un ultimo e poco ponderato slancio, di placare le spinte separatiste della Lega Nord con una riforma improvvisata, nel tentativo di offrire una parvenza di maggiore autonomia. Tuttavia, questo intervento si rivelò non solo inefficace, ma finì per rafforzare tali spinte, inaugurando un quadro normativo che permise, attraverso l’articolo 116 della Costituzione, un’apertura a varie riforme di segno autonomistico. Si tratta di una strada che, come oggi vediamo, è ancora aperta e rischia di essere percorsa con uno slancio “avventuroso”, come suggerito dagli stessi proponenti della nuova riforma.

A seguito della raccolta di firme per il referendum e di qualche incerta reazione da parte dei promotori della legge, si osserva ora che la volontà di procedere con una forma di autonomia differenziata potrebbe realizzarsi anche senza la legge, persino se il referendum sancisse un voto contrario.

Siamo dunque a ridosso di una negoziazione diretta tra il Governo e singole Regioni, come Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che mirano a ottenere un’estensione delle loro competenze. Il caso del Veneto, che ha avanzato richiesta su tutte le 23 materie di competenza, ha messo in evidenza l’intento di ridisegnare l’equilibrio delle competenze tra Stato e Regioni, alterando l’architettura costituzionale.

Desidero esplicitare che il mio approccio a questo tema si basa su anni di esperienza come giudice costituzionale, durante i quali ho affrontato questioni riguardanti i conflitti di competenza tra Stato e Regioni. È un tema complesso e cruciale, che esige coerenza e sensibilità istituzionale, specialmente nell’ambito delle controversie relative alla ripartizione dei poteri. Riguardo all’ammissibilità del referendum, rammento che la Costituzione prevede solo il referendum abrogativo, che consente, a certe condizioni, di revocare una legge esistente. La Corte Costituzionale ha, tuttavia, aperto a interpretazioni che consentono abrogazioni parziali, rendendo possibile la modifica selettiva di norme che potrebbero assumere così nuovi significati.

Tornando alla questione dell’autonomia differenziata, la prospettiva federalista implica che le competenze e le risorse siano distribuite a ciascuna Regione con una logica di stretta connessione. Tuttavia, la riforma in atto sembra trascurare un aspetto fondamentale: i costi generali dell’intervento riformatore. Per intraprendere un’operazione di tale portata servirebbero risorse notevoli. Come verranno reperiti questi fondi? Quali saranno le ripercussioni finanziarie? Immaginate una grande torta – l’obiettivo federalista vorrebbe dividerla in fette proporzionate per ciascuna Regione. Tuttavia, senza un’adeguata pianificazione e senza risorse finanziarie garantite, rischiamo di procedere con una distribuzione incoerente, che potrebbe lasciare prive di risorse proprio le Regioni che entreranno per ultime in questo processo.

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