La triste metempsicosi della Dc secondo la visione di Rotondi

Scegliere la destra è atto opinabile ma legittimo; farne la conseguenza di una tradizione, dopo averla deformata e immiserita, assume il connotato di un arbitrio. Neppure a Del Noce piacerebbe.

L’intervista di ieri su formiche.net permette di capire la griglia dei ragionamenti che portano all’ennesima variazione sul tema ad opera di Gianfranco Rotondi, reduce dall’ultima sconsacrazione della Saint Vincent di Carlo Donat-Cattin. Il tema, facilmente intuibile, è la riformulazione della politica che fu della Dc, con l’ampio consenso da essa raccolto in cinquant’anni di storia repubblicana; la variazione è più semplice e disarmante, consistendo nell’attitudine a mimetizzarsi, con il mutare delle circostanze, nel moto di una destra proteiforme. Una volta il riferimento era Berlusconi, ora invece è la Meloni: cambia il linguaggio – ieri tornava comodo parlare di centro essendo Forza Italia il contenitore elettorale del centrismo moderato – ma non la natura della subordinazione a un blocco di potere inconciliabile con la migliore tradizione democristiana.

La novità diventa perciò il prodotto di uno slittamento semantico, finora mai tentato, che Rotondi propone come inveramento del centro nella destra. Dice infatti a riguardo di questa fantasmatica evoluzione: “La risposta viene dal bellissimo messaggio inviato da Giorgia Meloni al nostro convegno di Saint-Vincent: lei dice che “è riduttivo definire la Dc il Centro, essa era il blocco che si opponeva alla sinistra”. Ecco, è questo il punto: la Dc non è mai stata il Centro, inteso come terzo polo. È stata il primo polo, anzi il primo partito per decenni. Chiunque cerchi numeri marginali è fuori dalla eredità democristiana che esige numeri importanti”. Insomma, il De Gasperi antifascista che non volle nel partito rifondato neppure il clerico fascista pentito Egilberto Martire, su cui ha scritto una ricca e istruttiva biografia il vescovo Sorrentino, sarebbe l’antesignano di una politica organizzata e gestita in chiave di esclusiva lotta contro la sinistra.

L’erede di Sullo, come volentieri ama Rotondi presentarsi, dimentica che De Gasperi rifiutò dopo il 18 aprile di formare un governo monocolore perché interessato strategicamente a coinvolgere la sinistra democratica e l’area laico progressista, rappresentate in quella fase storica dai socialdemocratici e dai repubblicani, dando al suo centrismo il carattere di argine non solo verso il Fronte popolare (comunisti e socialisti) ma anche verso la destra (monarchici e neo fascisti del Msi). Come possa concepirsi un simile snaturamento della storia democristiana, anzitutto per il suo connotato ideale e programmatico, è dunque l’aspetto più problematico e inquietante di questa trasmigrazione nel nuovo mondo della destra post berlusconiana.

Tutto sembra ridursi a un affare di numeri. Anche in questo caso la versione di Rotondi è un inno al machiavellismo fai-da-te: “…la destra italiana nella Prima Repubblica – dice sempre nel colloquio con formiche.net – aveva circa il cinque per cento, nella Seconda superava di poco il dieci. Una lista che sfiora e oggi supera il trenta per cento cosa è se non “il partito italiano”, come Giovagnoli chiama la Dc? Non a caso io non voglio fondare il Centro, ma una nuova casa della cultura prima che della militanza democristiana. Questo partito sarà un interlocutore e un aiuto, speriamo, anche per il lungo cammino di Giorgia Meloni”. Dunque, una cultura che poggia sulla constatazione degli equilibri di forza dovrebbe in sostanza dare forza alla destra di governo: un corto circuito senza scampo, inadatto a qualsiasi proposizione di valore, esiziale per una giusta memoria dell’esperienza, lunga e complessa, condotta dai democratici “d’ispirazione cristiana” nel corso della seconda metà del Novecento.

In conclusione, scegliere la destra è atto opinabile ma legittimo; farne la conseguenza di una tradizione, dopo averla deformata e immiserita, assume il connotato di un arbitrio. Nemmeno Del Noce, spesso citato dagli intransigenti che aborrono la sinistra, aderirebbe alla formula di una convenienza eretta a modello di virtù politica, essenzialmente per fare da corona alla Meloni. Rotondi dovrebbe rileggersi il discorso di Sullo – proprio lui – al congresso di Napoli del 1962, quello in cui Moro condusse la Dc alla scelta coraggiosa del centro-sinistra, perché vi troverà molti spunti ancora validi per articolare le ragioni di una politica di progresso e di giustizia per mano dei cattolici democratici. E allora, che cosa si può aggiungere? Nulla. C’è solo un abisso di alterigia e confusione nella vagheggiata metempsicosi di una Dc che appare, nel sogno di Rotondi, tristemente ricongiunta al corpo della destra.