Confessione personale, personalissima. Sono un uomo di centro, lontano dalla sinistra e lontanissimo dalla destra. Se il centro finisce in fuori gioco la mia tentazione è quella di uscire dal gioco anch’io. Se invece debbo proprio restare dentro quel gioco mi è più facile votare a sinistra piuttosto che a destra. Non troppo volentieri. Fine della confessione.
Detto questo, credo che il voto americano ci racconti bene vizi e virtù degli uni e degli altri e ci faccia capire a cosa stiamo andando incontro. Se dovessi riassumere in un telegramma il senso di quel voto la metterei così: la destra è brutta ma è vera, la sinistra è più aggraziata, ma è finta. O almeno lo sembra. Naturalmente come ogni semplificazione anche questa è assai discutibile. Ma queste due maschere politiche riaffiorano ogni volta che si oppongono l’una all’altra.
Se le cose stanno così, è evidente che la destra parte in vantaggio. Un vantaggio che può essere rovesciato, qua e là, ma che si consolida non appena si dà fuoco alle polveri. Come appunto è accaduto in questa campagna d’oltreoceano. Si può dire che una certa rozzezza abbia giovato a Trump e che una certa artificiosità abbia nuociuto alla Harris. Naturalmente questa analisi è schematica, ridotta all’osso. Ma a spanne non sembra troppo lontana dal vero.
Il fatto è che, in un mondo dove domina l’insicurezza, le sirene di destra sanno come farsi sentire. Circostanza di cui le destre non dovrebbero però approfittare troppo. Su cui le sinistre farebbero bene a riflettere. E contro cui il centro dovrebbe cercare prima o poi di farsi sentire.
Fonte: La Voce del Popolo – 7 novembre 2024.
[Articolo qui riproposto per gentile concessione del direttore del settimanale della diocesi di Brescia]