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mercoledì, 24 Dicembre, 2025
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La zona d’ombra che avvolge i Centri sociali

Dal volontariato territoriale alle realtà più radicali, il caso Askatasuna riapre una questione elusa: la violenza politica organizzata e il nodo irrisolto delle risorse economiche che la rendono possibile.

Non fare di tutta lerba un fascio

Non possiamo fare di tutta l’erba un fascio. Nello specifico, non possiamo confondere il profilo e la storia dei singoli centri sociali nel nostro paese. Certo, molte realtà che sono disseminate in Italia contengono un barlume di violenza al proprio interno. Ma è indubbio che molti centri sociali svolgono anche e soprattutto un ruolo culturale, associativo, di reale volontariato e di sincera integrazione nel proprio singolo territorio o area di riferimento.

Ma è altrettanto indubbio, per non essere ipocriti, che ci sono centri sociali semplicemente pericolosi. E non solo per l’occupazione abusiva dei locali in cui bivaccano ma anche, e soprattutto, per l’attività che dispiegano concretamente.

Il caso Askatasuna

Tra questi rientra a pieno titolo il centro sociale di cui oggi si dibatte in Italia, ovvero Askatasuna. Un centro sociale che, purtroppo, in questi ultimi anni si è particolarmente distinto e caratterizzato anche e soprattutto per la sua attività violenta.

Dalla Val Susa con la Tav all’attacco violento a diversi centri nevralgici e produttivi di Torino e del Piemonte, dalla partecipazione diretta a manifestazioni violente in giro per l’Italia all’attacco diretto e criminale contro le Forze dell’Ordine.

Un tema rimosso dal dibattito pubblico

Detto questo, c’è però un aspetto non secondario che continua a non essere analizzato ed indagato con la dovuta attenzione. Non solo da parte di chi, giustamente, ne denuncia l’estrema pericolosità ma anche e soprattutto da parte di coloro che ne appoggiano le gesta.

E a Torino, come ben sappiamo, sono tanti e sono trasversali. A livello politico come sul versante giornalistico, dal fronte accademico a molte realtà cosiddette progressiste e di sinistra.

La domanda decisiva: chi paga

Detto con altre parole, però, chi finanzia concretamente l’attività – forse anche quelle violente e di addestramento militare o di guerriglia urbana nel fronteggiare le Forze dell’Ordine – dei centri sociali che non si limitano a svolgere un ruolo culturale, associativo e di volontariato sociale?

E questo perché quando si parla di realtà come Askatasuna non si può non affrontare anche questa dimensione. Spostarsi in Italia, addestrarsi forse militarmente, pianificare le azioni contro il “nemico” e una serie di attività in capo a questo specifico centro sociale richiedono anche ingenti mezzi finanziari.

Seguire il flusso delle risorse

Ecco perché attorno al pianeta Askatasuna non esiste solo la violenza – manifesta, plateale e visibile anche da un marziano –, la propaganda violenta e l’attacco alle Forze dell’Ordine e la devastazione di settori ben individuati nella città, ma va affrontato anche il tema del finanziamento concreto a questa realtà.

Forse è arrivato il momento, oltre alle coperture politiche, giornalistiche, sindacali, culturali ed accademiche, di approfondire il capitolo – delicato ma decisivo – di chi li finanzia. Un tema, questo, che merita adesso di essere sviscerato ed approfondito. Perché, di norma, da chi finanzia una realtà sociale – qualunque essa sia – si comprende anche chi appoggia e condivide sul versante politico, sociale, culturale e mediatico la suddetta realtà.