Putin non vuole invadere l’Ucraina, e neppure i Paesi baltici (anche se lo farebbe volentieri, potendo). Vuole però – secondo Farinone – mettere in chiaro che oltre dove è già arrivata la NATO non può estendersi. Questa è la linea rossa. Invalicabile. Un punto che è divenuto quasi un’ossessione per l’uomo del Cremlino.
Ma cosa sta succedendo su fronte orientale? Le parole del segretario generale NATO, Jens Stoltenberg, suonano alquanto preoccupanti e la risposta a stretto giro di posta del ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, ancora di più. Messe una in fila all’altra le parole e le azioni di Mosca stanno assumendo un profilo che effettivamente non può non allarmare le cancellerie occidentali. Anche perché dietro di esse c’è una logica, che Putin ha col tempo puntualizzato ma che era chiara nella sua mente sin dagli inizi della sua lunga presidenza.
Nel corso dei primi anni del suo mandato ha con tutta la durezza del caso schiacciato le ambizioni indipendentiste dell’area caucasica, cominciando con lo stroncare quella dei ceceni per poi proseguire occupando l’Abkazia e l’Ossezia meridionale, inviando così un avvertimento esplicito alla Georgia, rea di avere avuto una qualche idea di partecipazione alla NATO; nell’area da anni gioca pure un ruolo da arbitro o quasi nell’intermittente conflitto fra azeri e armeni (con una predilezione per questi ultimi, con i quali la Russia è comunque alleata).
Nel 2014 l’atto più impegnativo e urticante: l’invasione della Crimea, penisola ucraina affondata nel Mar Nero dalle esplicite influenze russe, e la parziale occupazione del Donbass, provincia orientale di Kiev. Più recentemente il sostegno al dittatore bielorusso Lukashenko e, sempre ai confini dell’Unione Europea, la presenza di truppe russe in Moldavia nonché il dispiegamento offensivo lungo i confini con l’Ucraina; e, ancora, lo stretto raccordo con il presidente della Repubblica serba della Bosnia-Erzegovina, Milorad Dodik, che da parte sua sta minacciando l’unità già precaria del suo Paese.
Segnali incontrovertibili di un disegno strategico che Putin ha esplicitato più volte, che è a lui ben chiaro da sempre e che ora pare giunto ad un punto di verifica alquanto insidioso. La Russia non può consentire un ulteriore allargamento a est della NATO, e dunque si attrezza per impedire ad ogni costo che Ucraina, Georgia, Moldavia entrino a farne parte. Non solo.
La Russia ritiene lesivo della sua sicurezza qualsiasi mutamento geopolitico dello status quo attuale che non sia ad essa esplicitamente favorevole. La traduzione del concetto è nell’idea che sostanzialmente bisognerebbe ricreare una divisione dell’Europa in sfere d’influenza, una occidentale e una russa. Ovviamente un’ipotesi non accettabile per Bruxelles ma sufficiente per preoccupare fortemente i Paesi baltici, che – come già scritto su queste pagine – potrebbero abbastanza facilmente venire isolati attraverso l’occupazione del Suwalki gap, il corto corridoio che divide Polonia e Lituania lungo l’asse latitudinale fra l’enclave russa di Kaliningrad e la Bielorussia.
La situazione si sta dunque incartando: Putin esige che l’occidente non allarghi ulteriormente la propria sfera d’influenza e anzi in un qualche modo vorrebbe che i paesi già appartenenti al vecchio Patto di Varsavia non transitati in questi 30 anni a quello Atlantico tornassero sotto l’orbita di Mosca. L’occidente non può da parte sua tollerare in alcun modo il concetto secondo il quale una nazione libera non potrebbe decidere autonomamente le sue alleanze.
Così il Consiglio NATO – Russia della settimana scorsa non ha prodotto nulla, se non una recrudescenza dei toni bellicosi, fortunatamente solo verbali. Resta però la presenza massima di soldati e armamenti sul confine ucraino, che Stoltenberg ha una volta di più denunciato specificando però che, non essendo l’Ucraina membro del Patto Atlantico, per essa non è applicabile il famoso articolo 5 e quindi di fronte al precipitare degli eventi (ovvero la possibile invasione da parte russa) le sanzioni sarebbero sì durissime ma non vi sarebbe una risposta militare.
Putin non vuole invadere l’Ucraina, e neppure i Paesi baltici (anche se lo farebbe volentieri, potendo). Vuole però mettere in chiaro che oltre dove è già arrivata la NATO non può estendersi. Questa è la linea rossa. Invalicabile. Un punto che è divenuto quasi un’ossessione per l’uomo del Cremlino. Coerente peraltro con quanto da lui sempre pensato, e cioè che il crollo dell’Unione Sovietica sia stato un evento catastrofico per la Russia. Una Russia che ora deve riprendere un suo spazio nel mondo. Nel continente europeo. Ma pure nel Mediterraneo (come si è visto con gli interventi operati in Siria e in Libia). E senz’altro anche a oriente, in quella vastissima regione un tempo appartenenti all’URSS e oggi divisa in tanti, troppi Stati. Dei quali il Kazakistan è il più importante, per dimensioni, per ricchezze del sottosuolo, per posizionamento geografico avendo migliaia di chilometri di confine con la Cina.
Forse non è – come in molti sostengono – la visione di una rinnovata presenza imperiale, ma di certo si tratta di una visione e di un’ambizione lucide: Mosca nuovamente grande protagonista sulla sua scena globale. Americani ed europei dovranno tenerne conto; è come se Putin li avvertisse, dicendo loro “occhio, non c’è solo la Cina. Ci siamo pure noi”.