È da tempo, anche su queste colonne, che si corre il serio rischio di un progressivo scivolamento verso la deriva degli “opposti estremismi”. Una deriva che, purtroppo, ha segnato gli anni più bui e più tristi del nostro sistema politico e che non è affatto tramontata. Anzi, proprio in questi ultimi ultimi anni si è rafforzata se non addirittura consolidata. E tutto ciò capita quando prevale nella concreta dialettica politica la cosiddetta radicalizzazione del conflitto politico. Ovvero, la volontà di criminalizzare prima sotto il profilo morale e poi su quello politico quello l’avversario che, nel frattempo, è diventato un nemico giurato ed implacabile.
Ora, per restare all’oggi, abbiamo quasi plasticamente due figure che racchiudono questa deriva degli “opposti estremismi”. Due esponenti, l’unico sindacale e l’altro politico che, di fatto, sono due figure singolari se vogliamo garantire quella qualità della democrazia che resta l’unico e l’ultimo baluardo per non incorrere nell’avventurismo istituzionale e nella caos politico. L’uno, come ovvio, è il segretario generale della Cgil Landini e l’altro è il segretario della Lega nonchè Vice Premier Salvini. Ma, purtroppo, è dal sindacalista rosso che arrivano i messaggi più inquietanti e più pericolosi, come ormai evidenziano tutti coloro che non sono accecati da un furore ideologico contro un nemico da annientare e da abbattere.
Un tempo si diceva che la parole sono come le pietre. Beh, se ci limitiamo anche solo al lessico urlato da Landini in tutte le piazze italiane in questi ultimi tempi c’è, francamente, da restare basiti e seriamente preoccupati. Perché la somiglianza, appunto, di natura lessicale con la stagione cruenta degli anni ‘60 e, soprattutto, degli anni ‘70 è impressionante. Certo che non c’è un esplicito invito alla violenza ma quella, come quasi tutti sanno, di norma è sempre e solo l’epilogo finale di un processo che inizia sempre con la violenza verbale e alcune, e precise, parole d’ordine. Del resto, “rivolta sociale”, “rivoltare il paese come un guanto”, “svolta autoritaria”, “a rischio la libertà di esistere”, “minaccia al diritto di sciopero”, “rischio per la libertà di espressione” e una serie infinita di amenità del genere esige e richiede una sola risposta: e cioè, combattere l’artefice e il protagonista di quell’attentato alla democrazia e alla libertà in tutti i modi possibili e con qualsiasi mezzo.
Evidentemente, se la posta in gioco è così alta, come dice tutti i giorni il capo della Cgil, la riposta non può essere che dura e spietata. Ecco la faccia reale dell’estremismo e del massimalismo che può, tranquillamente ed oggettivamente, sconfinare nella violenza non solo verbale.
Speculare a questo atteggiamento, che è francamente pericoloso ed inquietante, esiste il comportamento politico del capo della Lega che è un misto di provocazione e di continua sfida. Un atteggiamento, questo, che è appunto speculare a quello di Landini e di chi vuole contrapporsi all’attuale maggioranza di governo in modo persino violento. Ecco perché, se si vogliono battere queste profonde e nefaste degenerazioni, la via maestra non è quella di assecondare e giustificare Landini – come, purtroppo, fa la sinistra italiana nelle sue multiformi espressioni, dalla Schlein a Conte, da Fratoianni a Bonelli alla Salis – ma, al contrario, denunciare apertamente questa ferita inferta ai principi della democrazia sostanziale e costituzionale. E, sul versante opposto, il Governo non può e non deve supportare – come, del resto, sta già facendo – l’azione del Ministro Salvini ma intraprendere una strada che esalti e che pratichi la via del confronto e del dialogo politico ed istituzionale.
Insomma, “gli opposti estremismi” si possono battere. Ma si sconfiggono solo se prevale il metodo della democrazia e dei rispetto rigoroso dei valori costituzionali. Che non basta evocarli astrattamente ma vanno praticati concretamente.