Le idee guida della politica di Alcide De Gasperi

Per lo statista trentino agire “cristianamente” non significava confondere il piano religioso con quello politico; il partito, pur espressione del messaggio cristiano, doveva infatti conservare un approccio non confessionale.

Non c’è dubbio che ad Alcide De Gasperi ci leghi ancora oggi un inesauribile debito di riconoscenza.

Primo esponente cattolico chiamato ad assumere la guida del Paese, è stato la personalità che è riuscita a garantire, nel momento più difficile della storia del nostro Paese, la continuità dello Stato, una continuità fatta non soltanto da strutture amministrative, ma soprattutto dalla sostanza umana e spirituale della patria, che egli fu chiamato a riedificare sulle macerie del fascismo.

De Gasperi ha guidato con prudente lungimiranza la ricostruzione postbellica, tracciando la trasformazione del Paese, prima in un’economia industrializzata e poi in una potenza economica mondiale; ha difeso la libertà e la democrazia, perseguendo con coraggio l’avvio e il proseguimento di un fecondo processo costituente; ha rilanciato in ambito internazionale l’immagine dell’Italia scegliendo di legare la sua posizione ai saldi ancoraggi dell’europeismo e dell’atlantismo.

Ma se si vuole comprendere a pieno il contributo di questo grande statista occorre non limitarsi a registrare i risultati politici da lui conseguiti.

Occorre tener conto anche di quanto la dimensione spirituale abbia avuto un ruolo di grande rilevanza nella sua formazione e rappresenti un doveroso punto di partenza per ogni riflessione sulla sua personalità. De Gasperi ha infatti sempre attinto a una profonda sensibilità religiosa e una fede autentica che costantemente ne hanno animato il pensiero e l’azione.

In lui, spiritualità e politica si integrarono così bene che – come ha giustamente sottolineato sua figlia Maria Romana – non furono mai due aspetti divergenti ma piuttosto “due angoli visuali diversi e complementari”.

La fede era vissuta come un’intima sorgente di forza, la politica come una missione laica: l’una ispirava l’altra con sollecitazioni continue, ma sempre senza intromissioni improprie.

Fin dagli anni della formazione De Gasperi riconosce nella dottrina sociale della Chiesa e nelle sue formulazioni solidaristiche una possibile mediazione tra la purezza della fede cristiana e l’impegno dell’azione sociale.

È infatti certo che, dietro l’immagine di politico pragmatico e antiretorico che il discorso pubblico e la storiografia ci hanno tramandato, è possibile riconoscere i contorni di un agitatore di idee, sensibile all’evoluzione dei paradigmi culturali del proprio tempo e dei mutamenti sociali in atto.

Del resto i primi passi nella vita pubblica De Gasperi li ha mossi proprio come giovane attivista politico, convinto che la riconquista cattolica della cultura e il riavvicinamento dei cattolici alla vita moderna dovesse passare attraverso una rinnovata attenzione alla questione sociale che affliggeva la classe operaia e la popolazione contadina.

La riflessione intorno alle possibilità di una profonda riforma sociale, che partisse dal recupero della dottrina sociale della Chiesa e dall’esperienza politica del cattolicesimo europeo, va fatta risalire proprio al lungo tirocinio nelle attività civili e religiose locali esercitato dallo statista trentino negli anni decisivi della sua formazione politica.

Con l’ingresso nella vita politica italiana De Gasperi si ritrovò a vivere su scala nazionale un’esperienza simile a quella fatta in ambito locale nel Trentino asburgico, ovvero la costruzione di un partito politico di ispirazione cattolica.

Ciò non significava abbandonare una concezione pienamente laica delle istituzioni e rimettere alle gerarchie ecclesiastiche la scelta degli indirizzi politici del partito democristiano.

Per De Gasperi agire “cristianamente” non significava confondere il piano religioso con quello politico; il partito, pur espressione del messaggio cristiano, doveva infatti conservare un approccio non confessionale, frutto di una concezione maturata attraverso le esperienze del cattolicesimo politico europeo.

Nella Vienna asburgica il Partito Cristiano Sociale aveva rappresentato per De Gasperi un significativo esempio di partito orientato ad un’azione politico-sociale ispirata alle basi etiche del cristianesimo, capace di contribuire alla riscossa del pensiero cristiano sulle ideologie concorrenti, in particolare liberalismo e socialismo, ma nel pieno rispetto della divisione tra sfera religiosa e orizzonte politico. Così come il partito cattolico tedesco Zentrum con cui il cattolicesimo aveva mostrato di potersi aprire all’esperienza costituzionale moderna e alla difesa della laicità delle istituzioni senza per questo rinnegare la propria ispirazione religiosa.

Ecco perché l’orizzonte ideale entro cui De Gasperi proiettava lo schema programmatico della futura Democrazia Cristiana, all’indomani della caduta del fascismo e dell’apertura di una nuova stagione di confronto politico in Italia nell’estate del 1943, era un orizzonte in cui, per lo sviluppo democratico del Paese, il “lievito cristiano” avrebbe dovuto fermentare “in tutta la vita sociale” gettando le basi ideali di un progetto politico che si sarebbe definito nel tempo.

L’azione degasperiana del secondo dopoguerra si è sempre mossa dunque tra questi due poli: condurre il mondo cattolico alla piena accettazione del principio democratico, evidenziando che i princìpi fondamentali della Chiesa sono conciliabili con le regole di uno Stato moderno e costituzionale ispirato a giustizia e libertà, e preservare il partito da ingerenze troppo marcate da parte della gerarchia ecclesiastica.

In questo egli fu sempre risoluto, anche a costo di scontrarsi duramente con altre anime della Dc e con il Vaticano stesso, specie nel 1952, quando con la cosiddetta “operazione Sturzo” il Papa incoraggiò un patto politico dei cattolici intorno a un programma per difendere la Roma cristiana e De Gasperi si oppose in nome di un partito laico e aconfessionale.

Molti degli scritti dello statista trentino testimoniano la rilevanza che l’orizzonte religioso e la centralità della fede hanno sempre avuto nella maturazione della sua personalità e della sua proposta politica. Documenti che risalgono a momenti molto diversi della sua vita e che dimostrano quanto integro e radicato fosse quel patrimonio di idee e sentimenti. Non a caso, nell’ultimo periodo della sua esistenza, seppur così restio nella considerazione di sé, disse con orgoglio alle figlie “cercate tra le mie carte, non troverete nulla di incoerente e di cambiato“.

Alla fine degli anni Venti, quando ormai il fascismo era diventato un regime dittatoriale che aveva compresso ogni libertà, De Gasperi estromesso dalla vita pubblica, lontano dal proprio nucleo familiare e dai compagni di un tempo scrisse una lettera all’amico trentino Giovanni Ciccolini in cui affermava con vigore che, nonostante tutto, “la libertà e la giustizia sono figlie di Dio e che il cristianesimo applicato alla vita pubblica vuol dire lealtà, franchezza, coraggio, sacrificio”.

In seguito, quando tra gli anni Trenta e Quaranta tentò di svolgere un ruolo di cerniera tra la cultura delle vecchie generazioni – formatesi sulle istanze solidaristiche del cattolicesimo politico del primo Novecento ed estromesse dalla vita politica dall’avvento del regime – e i giovani intellettuali cresciuti con riferimenti culturali che guardavano a una rinnovata concezione della fede cristiana come stimolo della società sulla spinta delle teorie personaliste di Maritain e Mounier. L’obiettivo – scriveva De Gasperi – era “costruire un ponte fra due generazioni tra le quali il fascismo aveva tentato di scavare un abisso” e il metodo andava rintracciato proprio nel recupero delle matrici ideali del cattolicesimo liberale.

Questa intima dimensione spirituale e questa fiducia nella militanza religiosa come strumento di costruzione saranno una costante della sua vita, presenti e visibili nei momenti privati così come in quelli pubblici più importanti. De Gasperi testimonierà la sua fede sempre senza tentennamenti e con grande umiltà, senza mai farsene vanto, senza strumentalizzazione dei simboli religiosi come amuleti identitari, senza mai servirsi della Chiesa per fini politici e, soprattutto, senza mai scendere a compromessi con la propria coscienza.

Tanto che, al tramonto della sua vita terrena, poco prima di spegnersi tra l’affetto della famiglia, poté dire: “Ho fatto tutto ciò che era in mio potere, la mia coscienza è in pace“, dopo aver sussurrato alcune volte il nome di Gesù.

 

Discorso pronunciato ieri, 3 aprile 2024, al convegno su “De Gasperi, politico cristiano” (Roma, Biblioteca Vallicelliana, Piazza della Chiesa Nuova 18).