“La piazza è mia!”….”La piazza è mia!” gridava o bisbigliava il matto del paese nel film “Nuovo Cinema Paradiso” e anche noi ragazzi, senza rivendicarne la proprietà, avevamo una piazza tutta nostra e, poco distante, spesso pure il cinema, in genere vicino ai locali parrocchiali del nostro piccolo paese.

La piazza era un luogo di ritrovo spontaneo, sempre aperto ai nuovi ingressi : questo accadeva un po’ ovunque per i ragazzi della mia generazione, nessuno è mai stato rifiutato.

Chi ci torna adesso trova tutto come prima, quando ci si andava per fare quattro chiacchiere o una partita al pallone.

Forse si è perduto lo spirito di un tempo che era fatto di estro e improvvisazione, di divertimenti a buon mercato, di lunghe conversazioni sulle cose della vita, a cominciare da quelle del presente – che ci sembrava sostenibile, a differenza di oggi – per proseguire con le speranze di un futuro che immaginavamo affascinante e migliore di come poi invece è stato.

Non c’erano telefonini e computer, videogiochi o tablet: ci si sedeva tutti  lì, sui gradini dell’abitazione del “Don” e si parlava, anche fino a notte fonda, scrutando le stelle.

Nella piazza e nei suoi paraggi ci siamo cresciuti, la nostra adolescenza l’abbiamo vissuta lì e poi ognuno è andato per la sua strada.

Ma quei muri scrostati, quegli intonaci consumati come le ardesie dei gradini, quel selciato sono rimasti nel cuore di tutti coloro che sono passati di lì, ne sono certo.

Penso di poter affermare – guardandomi intorno e osservando la deriva inarrestabile di decadenza dei costumi sociali, la mancanza di progetti condivisi, il diffuso rancore collettivo e la diffidenza che oggi pervadono le relazioni umane fino a far venir meno il valore quasi ‘certificativo’ della parola data, della stretta di mano – che si tratta di tempi che non torneranno più, nello spirito, nel cuore e nelle menti: per questo diventa importante ricordare e considerare con nostalgia ma anche con un pizzico di ironia quella stagione irripetibile della nostra vita.

Ci si rende conto, guardando a ritroso, che avevano ragione i nostri vecchi quando ci insegnavano che le tradizioni, i valori vanno conservati come primo apprendimento della vita: rispettarsi, volersi bene, divertirsi in modo spensierato senza scordarsi di dare il giusto peso alle cose, a cominciare dal sapersi accontentare di ciò che avevamo, pur senza precludere l’animo ai sogni e alle speranze.

Trovo che oggi questo concetto si sia ribaltato e allora diventa più importante apparire che essere.

Questo è – in genere – il prevalente messaggio che riceviamo dai nuovi maestri di vita, prima fra tutti la televisione e la rete, per non parlar del resto.

Un amico di tante fantasticherie e compagno di altrettante innocenti scorribande mi diceva spesso in quelle sere illuminate dai lampioni, ora fermi, ora ondeggianti al soffio della tramontana, in un silenzio oggi irreale, “verrà un giorno che questi muri parleranno, qualcuno dovrà scrivere qualcosa su quello che ha visto questa piazza”.

Di gente ce n’è passata e di tutti i tipi e ho anche saputo che qualcuno non c’è più.

Ma sono certo che ognuno di noi, tra quelli che sono rimasti– sperso nei mille rivoli che per scelta, necessità o destino la vita ti para davanti e più o meno generosamente ti propone – serba un ricordo grato e indulgente verso quegli anni di amicizia e di frequentazione: non tutte le parole dette tra noi  e non tutti i passi calpestati su quel selciato sono stati inutili e perduti.

Ai ricordi comuni contribuisco anch’io, con questa pagina, ed è un omaggio sincero all’adolescenza dei tanti ragazzi cresciuti nelle piazze di paese o di borgata, che forse ingenuamente credevano in un mondo migliore.

I passaggi generazionali conservano pur sempre un loro valore recondito, anche nella cronaca che poi si fa storia o in essa si perde fino a caratterizzare un’epoca, di cui ciascuno ricorda i propri aneddoti.

Ma sono certo che nessuno potrebbe scrivere abbastanza per raccontare davvero tutto quello che quei muri saprebbero narrare, se davvero potessero un giorno parlare.

Correvano gli anni che qualcuno ha definito ‘irripetibili’: rivisitando il passato e confrontandolo con il presente molte cose sono davvero cambiate, sulla scia del progresso, e certamente non tutte in meglio.

Ma ancora oggi, qui e altrove – in piena epoca di globalizzazione e di melting pot sociale, immedesimati 

nella rivoluzione tecnologica che ha radicalmente modificato la nostra vita  – se uno vuol cercare il genius loci, ciò che rimane del tempo andato e gli conferisce una particolare identità, lo può trovare nella piccola o grande piazza del suo paese o della sua borgata, tra ricordi, fantasie e immaginazione.