A poche ore dal voto che individuerà il nuovo Segretario del Partito democratico sembra opportuno fare qualche considerazione su un appuntamento che mantiene un significato sostanzialmente unico nel suo genere, se si confronta con dinamiche interne ad altre forze politiche che non consentono ad iscritti e militanti di scegliere o cambiare la guida politica, neanche nel caso di evidenti fallimenti politici o di sconfitte elettorali. Il Pd ha infatti delle regole statutarie ed una struttura organizzativa che lo rendono indubbiamente il partito con il maggior tasso di democrazia interna, rispetto ad altre aggregazioni politiche che in alcuni casi non ne hanno affatto. Ciò nondimeno, l’appuntamento di domenica 26 presenta delle insidie legate ad un possibile risultato difforme rispetto a quello che è uscito dalle convenzioni nelle quali gli iscritti hanno espresso la loro preferenza nei circoli del Partito democratico (Bonaccini 52,87% – Schlein 34,88% – Cuperlo 7,96% – De Micheli 4,29%).
È una valutazione che prescinde dal nome di chi prevarrà nella competizione finale tra Bonaccini e Schlein, ma che verte sulla contraddizione che si aprirebbe nel caso in cui la fase congressuale si dovesse concludere con due risultati diversi; ovvero con due risultati che si tradurrebbero – di fatto – nell’imposizione alla comunità degli iscritti di una segreteria politica scelta da una platea di non iscritti. In questo caso si evidenzierebbe per la prima volta una anomalia del sistema di selezione del gruppo dirigente del partito; un’anomalia che ovviamente non esiste da oggi, ma che oggi potrebbe concretizzarsi con effetti imprevedibili per la vita presente e futura del Partito democratico.
È un meccanismo di selezione figlio della logica leaderistica che, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, ha pervaso la nostra politica in modo trasversale; tutti in fila per barrare un nome anziché sviluppare un confronto politico tra delegati o rappresentanti di diverse realtà territoriali, ambientali, associative e di categoria. Tra i primi impegni della nuova segreteria politica ci dovrebbe essere proprio quello di rivedere le modalità di svolgimento dei congressi, recuperando un ruolo più incisivo per gli iscritti coinvolgendoli anche in “primarie tematiche” con consultazioni in relazione ad alcune proposte di legge sulle quali il Pd è chiamato ad esprimersi nelle aule parlamentari. Un sistema che preveda una ponderazione del voto con un diverso peso specifico tra iscritti e non iscritti consentirebbe di lasciare la porta aperta anche alla partecipazione dei simpatizzanti esterni alla fase congressuale. È necessario, in altre parole, valorizzare la partecipazione attiva alla vita di partito lasciando un varco aperto a chi non è dentro, ma vicino al Pd.
Il ragionamento è ovviamente diverso quando si tratta di individuare un candidato per il ruolo di sindaco o presidente di regione. In quel caso, all’interno di una coalizione, le primarie possono ragionevolmente essere un metodo di scelta che tiene insieme forze diverse ma alleate tra loro, stimolando la partecipazione alle scelte sull’amministrazione della “res publica”.