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mercoledì, 6 Agosto, 2025
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Le radici negate dell’Unione Europea

Il progetto di integrazione sembra aver tradito le sue premesse, del resto ampiamente comprensive degli ideali cristiani. Una certa deriva ideologica distorce l’europeismo. Occorre rifondare su basi autentiche l’idea stessa di Europa.

Nel suo recente intervento nel dibattito promosso da ALEF (Associazione dei Liberi e Forti) sullo stato dell’Unione Europea, l’avvocato Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia, ha sottolineato un punto spesso trascurato:

“Il più grave problema che sta dentro la costruzione dell’Unione Europea, e che ha impedito a suo tempo l’approvazione della Costituzione europea, è racchiuso nell’articolo 10 del Preambolo che corredava la Costituzione stessa. Lì venivano poste sullo stesso piano le confessioni religiose e le cosiddette ‘organizzazioni filosofiche’. Capito a che punto siamo? E grave è la responsabilità politica di chi, confidando forse di sistemare le cose col tempo, ci ha consegnati a questa situazione. Quando dico che sono le radici dell’Unione che dobbiamo rifondare, mi riferisco anche a questo”.

Due visioni contrapposte

Avevo già affrontato questo nodo nel mio saggio Elezioni europee – La visione dei Liberi e Forti (Ed. ALEF, 2018), in un capitolo significativamente intitolato: “Errori nel progetto originario dell’Unione europea”.

Sin dall’inizio, infatti, furono presenti due linee di fondo:

  • una ispirata alla Dottrina sociale della Chiesa;
  • l’altra al Manifesto di Ventotene, di matrice socialista e rivoluzionaria.

A imporsi è stata quest’ultima. Il processo di unificazione si è progressivamente allontanato dalla visione cristiana, accompagnandosi alla crescente secolarizzazione della società europea.

Il disegno ideologico del Manifesto

Il Manifesto di Ventotene concepiva l’unità europea non come esito del cammino dei popoli, ma come progetto da imporre dall’alto, attraverso un’élite intellettuale e politica. Si trattava di un’impostazione illuminista, giacobina, per molti versi leninista, che mirava a riplasmare l’identità dei cittadini europei.

Un’impostazione analoga a quella del liberalismo massonico italiano: fatta l’Italia, si trattava ora di “rifare gli italiani”.

Questa logica ideologica si è riflessa nelle istituzioni europee, contribuendo alla nascita di un vero e proprio europeismo dogmatico, che oggi demonizza ogni voce critica, tacciandola di populismo.

Una società opulenta e irreligiosa

Il Manifesto di Ventotene ha definito i contenuti culturali dell’Unione conciliando Gramsci e Gobetti, socialismo e liberalismo, statalismo nei bisogni collettivi e individualismo nella vita privata.

Una sintesi, questa, che Augusto Del Noce avrebbe definito progetto di “società irreligiosa e opulenta”.

Il bivio mancato del 1989

Un momento cruciale per rivedere questa impostazione si ebbe con il crollo del comunismo (1989–1991). Invece di cogliere l’occasione per rifondare l’Unione su basi diverse – come chiedeva Giovanni Paolo II – si preferì accelerare verso l’unificazione politica con il Trattato di Maastricht (1992).

La proposta del Papa di inserire un riferimento a Dio nella Costituzione europea non era integralismo, ma un richiamo alle autentiche radici dell’Europa. Invano. L’Unione si allontanava dall’Europa reale, mentre Giovanni Paolo II voleva un’Europa unita, “dall’Atlantico agli Urali”, salda nella sua identità cristiana.

Una scelta di campo

La Comunità Economica Europea, fondata grazie all’impegno di quattro grandi statisti democratico-cristiani – Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman – ha finito per assumere i principi ispiratori del Manifesto di Ventotene.

Rifiutando una Costituzione fondata sui valori giudaico-cristiani, ha abbracciato un’impostazione laicista, illuminista, anticristiana.

Oggi più che mai, se vogliamo salvare l’Europa da se stessa, dobbiamo rifondarne le radici.