Mino Martinazzoli è stato un esteta della politica. Se n’è andato 14 anni anni fa ma le sue riflessioni, i suoi aneddoti, le sue piroette intellettuali e, soprattutto, le sue iperboli, continuano a campeggiare perchè mantengono una straordinaria attualità e modernità. Certo, del magistero di Mino si possono dire molte cose. Persin troppe. Ma almeno due non si possono non dire.
Un democristiano anomalo
Innanzitutto Martinazzoli era un democristiano anomalo. Non aveva pacchi di tessere, non aveva clientele, non era un tradizionale capo corrente ma un diligente esponente, anche se pur sempre un leader, di una corrente. E, infine, Martinazzoli era un prodotto politico autentico della prima repubblica anche se non si è mai identificato con le normali dinamiche politiche ed organizzative della prima repubblica. Eppure, eterogenesi dei fini, Mino è stato il politico più autorevole e significativo che ha tentato sino all’ultimo di difendere le ragioni più vere, più trasparenti e più credibili della Democrazia Cristiana. Il “partito di cattolici”, che è rimasto sino alla fine l’architrave centrale e decisivo del sistema democratico e costituzionale del nostro paese. Quel partito che si è drammaticamente ancorato al democristiano più anomalo su piazza per cercare di salvare il suo caseggiato anche se ormai il terreno si sgretolava giorno dopo giorno e qualsiasi tentativo di rianimazione, come ben sappiamo, era di fatto impossibile ed impraticabile perchè i colpi della magistratura, nel frattempo, erano troppo violenti e spietati per resistere e, men che meno, per reagire.
Difensore delle ragioni fondanti della Dc
Ma, ed è la seconda considerazione, se è vero, com’è vero, che Mino Martinazzoli era il democristiano più anomalo tra i leader dello scudo crociato, è altrettanto accertato che proprio Martinazzoli è stato una delle grandi “personalità” della prima repubblica che ha difeso con le unghie e con i denti, come si suol dire, le ragioni fondanti della Democrazia Cristiana per tutta la sua vita. Ragioni storiche, culturali, sociali, programmatiche e anche etiche. Sotto questo versante parliamo di un democristiano anomalo che ha speso la sua vita a difendere l’identità e la mission del più grande partito italiano. Il “partito italiano per eccellenza”, per dirla con lo storico cattolico Agostino Giovagnoli. E Martinazzoli non ha mai rinunciato a questa sua caratteristica. Sia come autorevole esponente della corrente della Base all’interno della Dc; sia come segretario/liquidatore della Democrazia Cristiana e sia come artefice del nuovo cammino del popolarismo di ispirazione cristiana dopo il tramonto della Dc. Un ruolo a cui il leader bresciano non ha mai rinunciato.
Un magistero che non può passare inosservato
Insomma, si può dire tranquillamente che l’eredità di Mino Martinazzoli è complessa ed articolata. Ma è indubbio che il suo magistero non può passare inosservato, a prescindere dalle concrete vicende che lo hanno visto protagonista. Soprattutto nell’arco di tempo che va dal 1989 al 1994. Perchè Mino resta uno degli ultimi grandi leader e testimoni della storia gloriosa, sanguigna e sofferta del cattolicesimo politico italiano.