Il centrismo appare un fenomeno contratto nell’ambizione di trovare uno spazio di agibilità. Manca un vero disegno politico. Bernard Manin parla della “Democrazia del pubblico” che, grazie al sistema dei media, trasforma la rappresentanza in un rapporto diretto tra leader e opinione pubblica, senza partito dietro. Trovare una specifica e originale identità culturale, oggi non serve.
Nino Labate
Sono passati diversi giorni dalla cacciata di Draghi. E il 25 settembre si avvicina…Devo per onestà confessare che ero scettico sulle sue dimissioni. Scommettevo sulla forza di persuasione del suo “mentore” Mattarella e sugli appoggi di una buona fetta di classe politica che lo stimava: solo parole, anche se Berlusconi stesso pareva inizialmente usare parole di responsabilità. Ma non ho fatto i conti con l’eccitazione da sondaggi della Meloni, con l’occasione da non perdere del suo amico Salvini, e con il tornaconto e gli interessi personali del Cavaliere. Conte, suppongo non abbia capito dove andava a finire il suo Movimento. E di tutto questo ho dovuto prenderne atto, amaramente.
Comunque siano andate le cose, non credevo tuttavia possibile l’esplosione di un neo-centrismo come quello emerso sotto i nostri occhi dopo il licenziamento di Draghi. Le sue dimissioni hanno visto spuntare dal nulla una frittata di sigle e simboli cerchiati che si dichiarano di centro, come non si era mai visto prima in Italia. Tutti single. Ognuno con se stesso e con pochi amici fidati. La DC era altra, proprio altra cosa! E chi tenta di identificarsi, ma anche solo di ispirarsi con il suo nuovo centrino, dimostra tutta la sua incompetenza storica sulle vicende politiche italiane degli utimi 50 anni del secolo passato.
Emerge dunque un neo-centrismo.
Un neo-centrismo però senza una precisa cultura politica. Un neo-centrismo spezzettato sino all’irrilevanza elettorale. Frammentato in decine di partiti fotocopie, singoli partitini, liste e liste civiche, nelle mani di singoli e autonomi uomini politici. Un neo-centrismo declinato a volte anche in senso moderato, con un termine ottocentesco da borghesia ricca e aristocrazia agiata, per fare presa su quella striscetta di ceto medio rimasta sulla scena, e su quel filetto di borghesia italiana ancora viva. Entrambi con altri e seri problemi per la testa, propri e dei figli con la valigia in mano.
E in qualche caso, ma solo per comodità elettorale, un neo-centrismo attratto dai suoi due lati e autoproclamato di centro-sinistra e di centro-destra. Pur sapendo che oggi destra e sinistra – se proprio ci teniamo a usare ancora queste categorie del passato senza chiarire di volta in volta di cosa parliamo – indicano cose assai diverse. E non è finita. Perché il filo rosso che ha unito questi nuovi centristi riguarda l’attacco al populismo imperante. Tutti contro il populismo…degli altri. Con una reiterazione da brividi del termine, su cui si è sempre ignorato il fatto che la retorica populista, il rivolgersi cioè direttamente al popolo, appartiene sin da Pericle e assieme alla menzogna, alla fisiologia della democrazia politica, come ci ha ricordato Hannah Arendt. Retorica e menzogna oggi rinforzate sino all’inverosimile dai media vecchi e nuovi, e dai social bugiardi e manipolati. Un neo-centrismo infine – e questo dispiace – definito in alcuni casi anche cattolico, quando non cristiano. E con qualche leader fondatore che si è avventurato a proclamare la sua nuova formazione addirittura come partito di centro cattolico-democratico, dimostrando con ciò d’ignorare il significato di questa particolare cultura politica cattolica. Ma tant’e!
Stando così le cose non ci rimane che di augurare buone cose a questo neo-centrismo italiano 2.0; che, coalizzato o meno, viene tutto giocato sulle opinioni nascoste dei non votanti e astenuti, sulla attuale legge elettorale con una buona quota proporzionale, non escludendo alcune proposte particolari relative al lavoro, ai pensionati, e alle imprese, più o meno sposate a ben vedere da tutto l’arco costituzionale. Altro non c’è. O se c’è, è ben nascosto sotto l’insana e narcisa voglia di protagonismo dei singoli leader, confermando in questo modo la tesi di Bernard Manin sulla “Democrazia del pubblico” dei nostri giorni, che grazie al sistema dei media trasforma la rappresentanza in un rapporto diretto tra leader e opinione pubblica, senza partito dietro. Trovare una specifica e originale identità culturale, oggi non serve. Non c’è infatti da offrire una specificità distinta di valori e principi; e non c’è una qualche originale offerta di nuove regole democratiche. Serve solo uno che sappia parlare alle pance degli elettori.
Se proprio stanno così le cose, non si capisce bene allora quali sono e cosa sono la destra e la sinistra che si oppongono al neo-centrismo esploso in Italia. Tentiamo noi una risposta. Il neo-centrismo di oggi nasce perché ha sui suoi lati, due forti e pericolosi rivali che bisogna combattere e che conviene ricordare sin dentro la cabina elettorale: – da una parte la voglia dichiarata di un progetto politico di statalizzazione di tutto il libero mercato, col blocco della proprietà privata e della libertà d’impresa attraverso una pianificazione centrale nelle mani del segretario dell’unico partito esistente, rimanendo sempre in attesa di una rivoluzione proletaria mondiale; – dall’altra parte, di fare a meno dello Stato e di “lasciar fare” liberamente gli spiriti animali conservatori, nella gestione del mercato e di tutta la società, perche solo il singolo individuo senza vincoli, anche facendo leva sulla sua etica protestante, sa innovare e gestire il progresso.
Dunque, sia per l’una che per l’altra di queste tragiche alternative presenti in Italia, è meglio stare nel mezzo! E ho volutamente trascurato l’urgente necessità di trovarsi in mezzo tra partiti di sinistra con un dichiarato programma di tutela della sola classe operaia atea, con nelle mani la falce da una parte, e il martello dall’altra; e partiti di destra con un dichiarato programma di un ritorno al “fascismo eterno”, nostalgici di colonie, oggi frammisto al nazional-sovranismo modello “First Italy”; e poi ancora nemici giurati dell’Europa unita, ma pronti a trasformare “l’aula sorda e grigia” del Parlamento in un “…bivacco di manipoli”. Queste sono dunque la sinistra e la destra – dico bene?! – che abitano oggi in Italia. E proprio contro queste divaricazioni pericolose, bisogna per forza creare un centro lontano dall’una e dall’altra!
Per evitare l’ironia a tutto campo su cose serie, è certo che nessuno puo negare che quando si usano i termini di destra e sinistra, questi termini indicano oggi altre cose, e comprendono nelle loro definizioni altri fattori nel frattempo sopraggiunti. Ma quello che si deve evitare riguarda il fatto di rivolgersi alla triade destra-centro-sinistra per giustificare il pluralismo, come ha fatto qualche neo-centrista. Intendiamoci, il pluralismo quando non è falso e ad uso del leader di turno, è legittimo. E su cui non si può e non si dovrebbe scherzare.
Anche se, a tale proposito, non posso fare a meno di ricordare le preoccupazioni di Benigno Zaccagnini che dialogando nei lontanissimi anni ’70 con Norberto Bobbio difendeva, sì, il pluralismo, ma ne metteva nello stesso tempo in evidenza i “…pericoli della disgregazione e delle tentazioni centrifughe”, facendo eco alle inquietudini di Bobbio che accanto agli aspetti positivi del pluralismo, ne sottolineava il connesso “…maleficio della disgregazione”.
Rimane in conclusione solo una considerazione finale che prende spunto dall’ottimo libro della filosofa e sociologa Francesca Rigotti, che suggerisco di leggere, L’era del singolo. Sin dalla copertina, ella ci avverte che “…essere individui oggi non basta piu”. E poi ragiona e riflette sui passaggi culturali della nostra epoca che vanno dall’organicismo (il noi e lo stare insieme senza discutere) all’individualismo (prima io, poi gli altri, Stato compreso), arrivando al singolarismo dei nostri giorni (io unico e solo con i bisogni solo miei). Siamo, secondo questa acuta studiosa, di fronte ad una svolta antropologica epocale del modo di stare insieme nella società. Un epoca in cui è meglio identificarsi con se stessi e rimanere da soli, isolati e autonomi dal resto della comunità e della società.
Ora, se la metafora della barca di Bergoglio è sempre valida, ci resta da dire che per gestire bene le radicali trasformazioni sotto i nostri occhi, anziché salire assieme agli altri su una unica barca, e remare assieme agli altri, ci stiamo separando grazie alla nostra insana voglia di essere singoli. E stiamo salendo su singole barche remando da soli. Se si osserva bene la società dei nostri giorni, e in particolare quella società dei tanti partiti politici e partitini, questo passaggio dal Noi al Singolo della Rigotti, potrà spiegare molte cose. Oggi il partito è declinato al singolare. E si fa forza su un singolo leader. Non è più il partito del Noi e di certi valori condivisi, di un insieme di persone, di un insieme di attese, o se vogliamo di una domanda comune e condivisa. Ma solo il partito del signor X e del signor Y, con una singolare offerta tutta giocata sulla singola faccia del signor X o del signor Y. Tutto il resto è noia! Non conta! E la democrazia, lo stare insieme agli altri? e il bene comune?
Beh …meglio lasciar perdere!