L’età dell’oro di Trump: l’America vede nel giardino di casa la sua frontiera.

Grave l’errore dei Democratici. Non si è capito se sostituendo Biden con la Harris cercassero un camuffamento o un rilancio, fatto sta che gli elettori hanno respinto a chiare note questa indecisione strutturale.

Il trionfo di Trump viene da lontano e si nutre di agitazione, come se l’America avvertisse il bisogno di scrollarsi di dosso il peso delle sue responsabilità mondiali. Una netta maggioranza si è formata attorno alla convinzione che il futuro – Musk lo ha portato in dote alla campagna dei Repubblicani – si può piegare al sogno di una ritrovata fiducia e sicurezza nelle proprie dinamiche interne, in un orizzonte dove la “nuova frontiera” sta per ognuno nel giardino di casa.

“Questa sarà davvero l’età dell’oro dell’America”, ha scandito il neo-eletto Presidente nel saluto rivolto ai propri sostenitori. Dunque, in queste parole non c’è il mondo o se c’è appare lontano, poiché lo si osserva arcignamente con le lenti di un cannocchiale rovesciato.

Il punto debole di una tale politica, molto americana e poco occidentale, lo si scorge nel rapporto evasivo, se non conflittuale, con l’Europa. Anche se guadagna consenso in patria facendo la faccia feroce sui costi della difesa del Vecchio Continente, Trump perde il contatto con la realtà figurandosi di poter prescindere per convenienza dall’asse euro-atlantico. In un contesto internazionale a dir poco complicato, non è facile immaginare la tenuta dell’Occidente distanziando pericolosamente le due sponde dell’Atlantico. Anche sul piano economico si stenta a capire la razionalità di un atteggiamento aggressivo nei riguardi dell’Europa, come se l’’Europa, messa alle strette, non fosse in grado di reagire.

In ogni caso, il trumpismo è una grande prova muscolare che assume rilievi d’indubbia spettacolarità di fronte alla incresciosa svagatezza dei Democratici. Non si è capito se sostituendo Biden con la Harris cercassero un camuffamento o un rilancio, fatto sta che gli elettori hanno respinto a chiare note questa indecisione strutturale. L’impressione è che il partito dell’asinello abbia ignorato l’America profonda. Forse la Harris non doveva essere candidata, se si voleva lanciare in piena corsa, detronizzando Biden, un credibile messaggio di cambiamento. Lo stato maggiore del partito – ma dov’è o qual è? – si dovrà interrogare a fondo perché stavolta la lunga notte elettorale si è conclusa, più che con una sconfitta, con una vera e propria débâcle.