Pubblichiamo la lettera che Giorgio Merlo e Lucio D’Ubaldo hanno inviato al Presidente Pierluigi Castagnetti
Caro Pierluigi,
avevamo sollecitato nel 2014, con analoga missiva, una ripresa d’iniziativa politica dell’Associazione “I Popolari”. Ne è venuta fuori una tua apprezzata disponibilità, ancora suscettibile per altro di concreti sviluppi. Oggi riteniamo necessario non frapporre altri indugi alla presa in carico di tale aspettativa. Il populismo dilagante deve trovare un argine nel popolarismo: la nostra funzione, in questo momento, non può limitarsi perciò alla semplice testimonianza morale.
Se non interveniamo, il Paese è destinato a irretirsi nella girandola di sogni, frustrazioni e malcontento. Il “centro” era dato per morto – percepito e definito come un “non luogo” della politica attuale – quando invece si riscopre, agli occhi di molti osservatori, come un ancoraggio vitale per salvare e rinnovare la democrazia. La paura, in sostanza, non è l’ultima parola contro le dismisure e gli errori del globalismo economico-finanziario. Abbiamo da riscoprire le radici dell’umanesimo come identità dell’Italia e dell’Europa.
In nostra assenza, altri sarebbero motivati a occupare lo spazio politico del popolarismo, ma di un popolarismo snaturato, messo cioè a repentaglio da una visione angusta – di segno genericamente anti-progressista – e da una coscienza unilaterale della crisi, fatalmente contigua al sovranismo. Nel silenzio verrebbe avanti la suggestione di una nuova destra alla ricerca di una sorta di controfuturo dell’Occidente, per sfuggire come che sia alla tenaglia del declino. Finora, in Italia, questa prospettiva ha sempre incrociato l’alternativa dei popolari fedeli alla lezione di Sturzo, De Gasperi e Moro. Tale punto di contrasto rappresenta ancora il confine da presidiare.
La nostra idea è che sul territorio andrebbe incentivata l’azione di uomini e donne interessati alla corretta rilettura del popolarismo. Con qualche amico pensavamo di proporre, senza particolari vincoli burocratici, il varo di circoli dei “Liberi e Forti”. Il problema non è sapere a priori quale possa essere la formula più adatta, ma sperimentare semmai la maniera più generosa ed efficace d’intendere la riscoperta dell’autonomia del mondo “democratico e cristiano”.
Di questo e di altro abbiamo bisogno, parlandone liberamente, cercando insieme i modi e i luoghi.
Lungi dal credere che un sobbalzo di carattere organizzativo produca effetti mirabolanti, ci ostiniamo a riflettere sui tanti segnali provenienti dalle diverse comunità territoriali e ambientali, ovunque riscontrando il desiderio di “cose nuove” in coerenza e continuità con il partito fondato il 18 gennaio del 1919 da Luigi Sturzo.
È un centenario da vivere con propositi di rinnovamento. È una data simbolo che dobbiamo onorare. È un motivo per riconoscerci, nel pluralismo delle inflessioni contingenti, uniti nel rispetto e nella valorizzazione dell’unica dottrina politica sopravvissuta al naufragio delle ideologie degli ultimi due secoli. Di questo siamo convinti.
Un saluto cordiale.
Giorgio Merlo Lucio D’Ubaldo