Per Michele Bellini, le guerre in Israele e in Ucraina non rappresentano solo due crisi geopolitiche, ma due specchi morali nei quali l’Europa è costretta a guardarsi.
L’autore invita a riflettere su una domanda essenziale: quale volto l’Europa riconosce come proprio? Quello della deriva nazionalista, che legittima il potere illimitato in nome della sicurezza, oppure quello della resilienza democratica, che difende la libertà e la dignità dei popoli sotto aggressione?
Il modello Israele e il modello Ucraina
Israele, scrive Bellini, incarna oggi il paradigma inquietante di una sicurezza assoluta che si traduce in controllo e disuguaglianza.
Se l’Europa dovesse riconoscersi in questo specchio, finirebbe per importare logiche di esclusione e di sospetto, perdendo il senso stesso del suo patto civile.
L’Ucraina, al contrario, rappresenta la resistenza etica e politica di un popolo che difende la propria sovranità, anche a costo di sacrifici enormi. Scegliere di rispecchiarsi in quel modello significa per l’Unione europea riaffermare la propria identità democratica e la centralità dello Stato di diritto.
L’identità europea in discussione
La crisi non è solo militare ma morale. Accettare il modello israeliano, osserva Bellini, significherebbe giustificare un potere che si autoassolve in nome della sicurezza, riducendo gli spazi di libertà e di pluralismo.
Riconoscere invece il riflesso dell’Ucraina implica che l’Europa torni protagonista del proprio destino, non spettatrice passiva delle crisi altrui.
È una scelta di coerenza politica, ma anche di coraggio morale: riaffermare che la democrazia europea non si difende con i confini, bensì con i valori.
Un bivio che riguarda tutti
Bellini non ignora le contraddizioni: né Israele né l’Ucraina sono modelli perfetti. Ma è nella capacità di scegliere, e non nell’equidistanza, che si misura la maturità dell’Europa.
Il rischio è che, in nome della realpolitik, l’Unione finisca per abituarsi all’uso illimitato del potere come condizione normale della politica.
Guardarsi allo specchio, per l’Europa, significa allora decidere che tipo di mondo vuole costruire: quello che impone la pace con la forza, o quello che ancora crede nella forza della pace.
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