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sabato, Febbraio 15, 2025
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L’Europa e la propria Difesa: una nuova fase della storia.

Gli americani ci chiedono il conto. Non sono più disponibili a pagare il nostro sistema di Welfare, che loro non hanno, finanziandolo con il loro budget destinato alla difesa atlantica.

Nel 2023 i fondi destinati alla Difesa, ovvero agli armamenti, sono aumentati a livello globale (+6,8%) e per quanto concerne i paesi europei aderenti alla Nato l’incremento è stato, in seguito alla guerra in Ucraina e al conseguente suo parziale finanziamento da parte dell’Unione, addirittura del 16%, con la media dei paesi dell’est europeo attestata al 31%. I dati sono quelli del Sipri, l’autorevole Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace con sede a Stoccolma.

Nell’insieme questi quattrini hanno costituito il 28% della spesa totale Nato nel 2023, percentuale mai raggiunta in questo secolo. Chi ha incrementato di più, come è noto, è la Polonia (ben il 75% nel 2022). In attesa di conoscere i dati precisi relativi al 2024 appare evidente come – tranne qualche eccezione, fra cui l’Italia – il tetto del 2% del PIL a suo tempo definito ma non raggiunto da tutti i paesi europei sia già ora una base dalla quale partire per crescere ulteriormente, così come vuole Trump.

Il problema europeo è noto: Roberto Cingolani, Ceo di Leonardo, la nostra azienda di punta nell’aerospaziale, lo ha definito a suo tempo (circa un anno fa) con una locuzione interessante, “frammentazione industriale”: ogni singolo stato nazionale investe – chi più, chi meno – nei propri sistemi d’arma, anche a livello progettuale e produttivo, oltre che nella gestione della propria Forza Armata. Col risultato di creare “duplicazioni” diffuse che impediscono l’emersione di “campioni industriali” continentali. Non solo. Questa distorsione ne produce un’altra, ovvero il prevalente acquisto di componentistica quando non di interi sistemi d’arma dall’estero (Stati Uniti, checché ne dica Trump, in primo luogo). Non esiste, cioè, un “procurement” europeo.

Ogni governo dell’Unione conosce nei dettagli i dati relativi a questa problematica. Ma non vuole affrontarla, se non a parole e con qualche blanda idea assolutamente non risolutiva. Eppure l’invasione russa dell’Ucraina ha evidenziato l’esistenza reale di una possibile minaccia, e dunque la necessità di un efficace sistema difensivo europeo.

Per renderlo autonomo dagli Usa e quindi potenzialmente indipendente dalla Nato (uno scenario ancora ipotetico, ma non impossibile se la marea isolazionista americana dovesse proseguire anche dopo i prossimi quattro anni) è stato calcolato che – oltre alla volontà politica, oggi assente, indispensabile per costituire un esercito europeo – ci vorrebbe un impegno pari ad almeno il 6% del PIL da parte di ogni Stato (l’Italia oggi è all’1,5% e questo dà la dimensione del problema).

A conferma delle difficoltà è utile ricordare che l’obiettivo annunciato in pompa magna nel marzo 2022, subito dopo l’attacco russo a Kyiv, la cosiddetta “Bussola strategica” (ovvero la creazione entro il 2025 di una forza europea di rapido intervento dotata di 5000 effettivi) è ben lontano dal suo effettivo conseguimento.

È dunque più realistico immaginare questo come un obiettivo di lungo periodo, al quale però cominciare a predisporsi fin d’ora. Ma ciò necessita di una volontà federativa di natura politica, che oggi non c’é, altrimenti questi sono tutti ragionamenti fasulli, scritti sull’acqua.

Nell’immediato dunque rimane la Nato. Questo gli americani lo sanno e pertanto ci chiedono il conto. Non sono più disponibili a pagare il nostro sistema di Welfare, che loro non hanno, finanziandolo con il loro budget destinato alla difesa atlantica. Può non piacere, ma è così. 

Siamo in una nuova fase della Storia. Chi fa politica ha il dovere di affrontarla, non di evaderla.