La Dottrina Truman e l’idea di welfare
Nella sua furia distruttrice anche solo dell’idea di una Europa unita, Donald Trump demolisce quella che venne al tempo denominata “Dottrina Truman”. Quel Presidente, in un discorso al Congresso – era il 1947 –, rimasto famoso e divenuto storico, spiegò che l’assistenza economica e militare che gli Stati Uniti avrebbero garantito all’Europa, continente distrutto dal devastante conflitto terminato da poco, avrebbe dovuto aiutare gli Stati interessati (ovvero quelli che gli Accordi di Yalta avevano collocato nell’Occidente politico e non solo geografico) a migliorare le condizioni di vita delle loro popolazioni anche attraverso, e anzi soprattutto, programmi di sicurezza sociale. Sostanzialmente, il welfare.
Quello “stato sociale” rimasto debole e marginale negli USA e che invece – anche grazie alle risorse economiche non spese per la difesa militare, a carico in gran parte della NATO finanziata per lo più da Washington – i governi democristiani e socialdemocratici delle nazioni europee vollero e seppero promuovere e sviluppare.
Contro la propaganda sovietica
Naturalmente, non è che Truman fosse uno sprovveduto. Dietro questo impegno finanziario americano c’era l’interesse a garantire il consenso popolare ai governi alleati, respingendo con i fatti – ovvero la crescita economica e il progresso sociale – la propaganda sovietica veicolata dai partiti comunisti, soprattutto in Francia e in Italia, tesa a rimarcare le ineguaglianze di classe e la povertà diffusa prodotte dal “sistema capitalistico”.
Poiché nell’Occidente europeo, a differenza dell’Oriente soggiogato dall’URSS, democrazia e libertà di espressione erano valori pienamente affermati e fondativi delle nazioni alleate degli Stati Uniti, era fondamentale – questo il ragionamento sviluppato a Washington – aiutarle nella ricostruzione (ed ecco il Piano Marshall), ma anche nella successiva crescita, in modo che la povertà venisse sconfitta e la propaganda comunista avesse conseguentemente sempre minor presa.
L’Italia, il centro-sinistra e il via libera americano
Una linea ribadita e confermata nel tempo. Quando, ad esempio, sul finire degli anni Cinquanta in Italia Fanfani e Moro cominciarono a ipotizzare un allargamento al Partito Socialista dell’area governativa, l’Amministrazione Eisenhower nella sostanza non oppose una resistenza assoluta all’idea. Nella forma sì, naturalmente. E l’ambasciata di via Veneto non lesinò inviti alla cautela e pure qualche velata minaccia. Ma al fondo condivideva la tesi – affermatasi progressivamente in termini maggioritari nella DC e portata avanti dalla segreteria Moro – che bisognava favorire, con l’industrializzazione del Paese, la crescita economica e con essa le condizioni di vita della popolazione tutta.
Un miglioramento sociale che avrebbe contribuito a indebolire il comunismo italico: un obiettivo mai venuto meno a Washington. Questa considerazione venne confermata e ovviamente rafforzata dalla successiva Amministrazione Kennedy. L’apertura al PSI ne sarebbe stato il corollario politico.
Dalla fine della Guerra fredda al risentimento americano
In un qualche modo quella linea ha retto per altre tre decadi. Ma il cambiamento di scenario intervenuto con la fine dell’Unione Sovietica ha eroso alla base la Dottrina Truman e così, nel corso dei due decenni successivi, ha prevalso negli USA un crescente risentimento nei confronti di un’Europa ancora protetta dal dispositivo militare statunitense pur a fronte di un nemico scomparso, e capace pertanto di continuare a garantire condizioni di vita migliori al ceto sociale più debole e anche a quello medio rispetto a quelle consentite in America.
Non poteva durare. Già con Bush jr. i Repubblicani avevano virato verso una relazione meno accondiscendente con l’Europa occidentale, ma poi anche i Democratici – arrivati alla Casa Bianca con Obama – avevano spostato il focus sul Pacifico (“Pivot to East Asia”) e avevano posto il tema dell’incremento del contributo NATO al 2% del PIL. Ora Trump, alla sua maniera offensiva, tira le fila di questo processo. E ci presenta il conto.
Il progetto MAGA: un mondo senza Europa
Ma non finisce lì. Vuole non solo farci pagare un alto prezzo per una protezione militare che potrebbe non garantire più. Dietro di lui il movimento MAGA desidera di più: vuole la distruzione della UE. Vuole favorire il nazionalismo riemergente nei Paesi dell’Unione. Vuole rimodellare il mondo senza l’Europa.

