Leggendo con una piccola attenzione sul lavoro svolto dal Censis in questi anni ne emerge che da oltre un cinquantennio svolge una attività di ricerca, consulenza e assistenza tecnica in campo socio economico.
Negli anni ’60 si è concentrata l’attenzione sul welfare e alle strategie che ne governano l’impostazione e la gestione. Negli anni ’70 il Centro Studi si è soffermato sulla economia sommersa e sul suo impatto nel nostro paese. Per il decennio successivo ha indagato sulla sua modernizzazione, mentre nel decennio iniziato nel 1990 è seguita una analisi relativa alla sua struttura sociale ed economica progressivamente “densa”. Infine dal 2000 si è avviata una articolata riflessione sul tema del modello socio economico italiano.
Di grande risalto in questi giorni il “Rapporto 2023” che al solito propone una serie di numeri e percentuali che a prima vista potrebbero inaridire l’occhio alla lettura. Se si presta maggiore accuratezza a quei numeri assai indicativi di cifre, ne emerge un quadro che non può essere affatto trascurato e che viene sintetizzato crudamente nel commento che accompagna tutti i dati proposti.
Nel 2050 l’Italia accuserà un deficit di 4,5 milioni di residenti. Diminuiranno di 9,1 milioni le persone con meno di 65 anni contro un aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e un incremento di1,6 milioni di persone con 85 anni e oltre. Il nostro Paese sta invecchiando, è una evidenza che non suscita stupore e che proprio per questo ci deve allarmare.
Gli 11,6 milioni di donne oggi in età feconda diminuiranno al 2050 di 2 milioni. Si stimano poi quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno nel 2050 che vedrà una spesa sanitaria pubblica pari a 177 miliardi di euro, a fronte dei 131 miliardi attuali.
La società italiana accusa nel complesso un disarmo identitario e politico, afflitta da un senso di sostanziale impotenza e frustrazione a cui ha contribuito una globalizzazione che avrebbe portato più danni che benefici.
Ne deriva un ridimensionamento dei propri desideri, nessun compiacimento verso modelli di sfrenato consumismo e il riconoscimento del lavoro come una affermazione sociale. Al contrario si pensa piuttosto alla qualità delle proprie relazioni e al tempo da dedicare a se stessi.
Con il blocco dell’ascensore sociale, oggi nel nostro Paese i 18-34enni sono poco più di 10 milioni, pari al 17,5% della popolazione; nel 2003 superavano i 13 milioni, pari al 23,0% del totale: in vent’anni abbiamo perso quasi 3 milioni di giovani. Nel 2050 i 18-34enni saranno solo poco più di 8 milioni, appena il 15,2% della popolazione totale.
I giovani con il loro modesto peso demografico sono condannati ad una scarsa rilevanza. Quanto alle famiglie, in Italia sono complessivamente 25,3 milioni. Quelle tradizionali, composte da una coppia, con o senza figli, sono il 52,4%. Di queste, il 32,2% (8,1 milioni) è formato da una coppia con figli (nel 2009 la percentuale era invece del 39,0%). All’opposto le altre tipologie non convenzionali stanno aumentando:
– il 33,1% delle famiglie è composto da persone che vivono da sole, e nel 20,9% dei casi (5,3 milioni) si tratta di single, ovvero di persone sole non vedove, cioè persone che vivono da sole per scelta o comunque senza un partner; – il 10,7% delle famiglie (2,7 milioni) è di tipo monogenitoriale, in quanto è composta da un genitore solo con figli (nel 2009 la quota era dell’8,7%). Si tratta generalmente di nuclei formati a seguito di separazioni o divorzi, e nella grande maggioranza dei casi il genitore che vive con i figli è la madre. Il numero dei matrimoni si riduce e oggi esistono 1,6 milioni di famiglie (l’11,4% del totale) costituite da coppie non coniugate.
Si potrebbero riportare altre informazioni preziose per interpretare correttamente lo stato di salute della nostra società ma sembra assai più utile il commento per mano dello stesso Censis: “Dinanzi ai cupi presagi, il dibattito pubblico ristagna, e la bonaccia di qualche indicatore congiunturale non è in grado di gonfiare le vele per prendere il largo. Il sonnambulismo come cifra delle reazioni collettive dinanzi ai presagi non è solo attribuibile alle classi dirigenti, ma è un fenomeno diffuso nella “maggioranza silenziosa” degli italiani”.
Il presagio è di chi ha capacità profetiche, dotato di un acuto fiuto per il futuro, essendo per questo dotato di uno spirito fine, sensibile nel prevedere ciò che sarà. Si ha però l’impressione che non siamo più in una forma di apprensivo presentimento quanto in una dimensione assai più grave di rassegnazione o di prostrazione, come non possa più sperarsi di invertire la rotta dei fatti, l’inesorabile declino di un paese che nel 1991 era stato tra le prime 4 economie mondiali.
La sentenza del Censis è di un sonnambulismo del quale colpevolmente siamo vittime e artefici. Sonnambulo è colui che di notte si muove senza averne perfetta coscienza e sviluppa nella fantasia popolare qualità di funambolo, sapendo camminare in equilibrio su una fune senza precipitare nel vuoto.
Gli italiani sembrano come arresi ad una crisi inarrestabile, concentrati a preservare per come possibile la qualità della vita per quel poco che gli è concesso nel proprio ambito quotidiano, solo perché ancora indipendente dai grandi andamenti della economia. Una passeggiata in compagnia di amici non comporta oneri particolari dai quali guardarsi.
Non sembra esserci un desiderio di futuro quanto piuttosto di salvezza. Non la prospettiva di un riscatto di un paese ma il ritrarsi nella propria sfera particolare.
I sonnambuli sono i protagonisti della notte, vivi immersi nella dormienza. Contrastano con il mondo degli zombie che viceversa da morti si muovono in forma di vivi. Forse è questo l’ultimo passaggio che ci attende se non ci svegliamo. In un film dal genere poliziesco a titolo “Il grande sonno” un detective veniva infine a capo di una faccenda quanto mai ingarbugliata. Che sia così anche per il nostro paese.