Flannery O’Connor, la scrittrice cattolica che Thomas Merton accostava a Sofocle.

La fede per lei significava distacco o rottura rispetto a ciò che diamo per scontato. Di seguito, con titolo diverso, la seconda parte dell’articolo ripubblicato sul sito di “Vita e Pensiero”.

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Limpatto della grazia
La O’Connor sembra più interessata alla pre-evangelizzazione che a una più diretta comunicazione del Vangelo (anche se questa terminologia non le sarebbe piaciuta). Le sue trame, la cui azione è indiretta, puntano a suscitare un risveglio di interesse verso l’esperienza religiosa più che a trasmettere specifici contenuti della fede o della dottrina. Ciò che disse circa una di esse ha una validità generale: «È la storia non tanto di una conversione quanto di un’autoconoscenza, che ritengo il primo passo verso la conversione».

Una parte della sua retorica narrativa mira ad ampliare l’autoconsapevolezza del lettore, anche ricorrendo alla tattica dello shock.

Nella stessa lettera, la O’Connor parla del «senso religioso» che viene mortificato abbassando le dottrine al livello umano per spiegarle, ottenendo così di abolire «il senso della potenza divina capace di realizzare l’Incarnazione e la Resurrezione». Da qui la sua speranza di modificare l’atteggiamento dei lettori, staccandoli dalle loro sicurezze e spingendoli ad aprire la loro immaginazione all’esperienza religiosa.

In questo senso le sue trame dipendono spesso da momenti di grazia che non sono solo sorprendenti, ma talvolta anche violenti. «Mi sembra che tutte le storie buone riguardino una conversione, un cambiamento di un personaggio […]: l’azione della grazia cambia un personaggio». La O’Connor insisteva sulla natura conflittuale dell’incontro con la grazia e sul fatto che, se non capivano questo, i lettori finivano con il respingere le sue opere come puramente pessimistiche.

«Tutte le mie storie riguardano l’azione della grazia su un personaggio non troppo disposto ad assecondarla, ma la maggior parte delle persone pensa che si tratti di storie dure, disperate, brutali». Aveva poco tempo per quelli che pensavano alla religione come a un modo di soddisfare le loro esigenze vere o presunte, per cui spesso c’è un tono tagliente nel suo parlare della fede: «La verità non cambia a seconda della nostra capacità di sopportarla emotivamente». La fede può essere «emotivamente scomoda, perfino ripugnante», come nei momenti di tenebra dei santi. La fede, a suo modo di vedere, è spesso causa di agitazione e tormento prima che si possano gustare i frutti della gioia. La O’Connor non sembra aver conosciuto gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, ma avrebbe apprezzato la sua metafora circa la grazia che penetra in uno spirito ricettivo come l’acqua delicatamente in una spugna, mentre in chi è chiuso nel suo egoismo accade come quando l’acqua colpisce rumorosamente una pietra. Le storie della O’Connor sono un esplosivo narrativo con cui aprire e frantumare simili pietre. La sua arte mina il nostro razionalismo, ma di questo ci si accorge a posteriori.

Dopo la sua morte «Time» non aveva tutti i torti nel commentare che la O’Connor aveva «scritto su altro che le cose ultime». È vero infatti che le sue trame riguardano spesso persone che incontrano la morte o il giudizio in modo imprevisto, ed è ugualmente vero che simili situazioni sono raccontate con una crudezza che mira a scuotere la soddisfatta inerzia del lettore. La scrittrice era rimasta colpita da questa frase di Emmanuel Mounier: «L’amore è una lotta: la vita è un duello con la morte». Ella deve aver avuto una quotidiana percezione della propria mortalità, anche se la sua narrativa non è mai direttamente autobiografica. Trasformava le sue ombre in storie comiche, incarnazionali e mai moralistiche. Il genere di fede che amava rappresentare può apparire austero, ma le sue storie, con il loro feroce umorismo, alludono spesso a più gioiose scoperte e nascono anche da un’autentica solidarietà e compassione per le sofferenze dei non credenti. In una lettera del 1959, scrisse: «Penso che non ci sia sofferenza più grande di quella causata dai dubbi di coloro che vogliono credere. So che tormento è, ma posso solo vederlo, per lo meno in me, come il processo con cui la fede si approfondisce».

 

Una storia di conversione
Per quanto ricchi, gli scritti non narrativi della O’Connor non rivelano in pieno la luce da lei proiettata sul vissuto della fede. Ho quindi scelto un suo racconto, Rivelazione, per rappresentare l’irrompere della grazia nella vita di una donna che soffre di un «senso distorto di uno scopo spirituale», caratterizzata da una specie di orgogliosa sicurezza riguardo al modo di vivere, compresa la fede cristiana. È un personaggio di una rigidezza comica, abituato a dominare gli altri. La storia, suggestiva e ricca di dettagli, accompagna la protagonista e, con lei, i lettori alla crisi di una nuova visione. I suoi aspetti “grotteschi” ci guidano a una sorta di paradiso, ma solo attraverso il purgatorio e gli incontri drammatici con il mistero dell’invisibile.

Rivelazione è la storia preferita della O’Connor, completata nell’ultimo inverno della sua vita. Racconta il risveglio della signora Turpin da un cristianesimo ipocrita al riconoscimento della radicale diversità di Dio. Le rivelazioni sono quindi due, umiliante una, giubilante l’altra. In contesti assolutamente ordinari (la stanza di attesa di un medico e, in seguito, un allevamento di maiali) la soddisfazione di sé della donna è sottoposta a una duplice terapia. Nella sala d’attesa (anch’essa, forse, un simbolo comico) la signora Turpin si vanta con i presenti di poter ringraziare Gesù di avere «un po’ di tutto, e in più un buon carattere». A questo punto una ragazza disturbata di nome Maria Grazia (!) la aggredisce verbalmente e la colpisce a un occhio lanciandole un volume intitolato Lo sviluppo umano. Il trauma apre una prima breccia nella corazza psicologica della signora Turpin, che si arrabbia con il Padreterno e quella sera, tra i maiali, gli rivolge ogni sorta di rimproveri. Gli echi scritturali di Giacobbe e della parabola del figliol prodigo sono probabilmente voluti, ma il modello fondamentale è la conversione di un fariseo. «Chi credi di essere?» chiede polemicamente a Dio la signora Turpin, ma ironicamente l’eco della sua domanda le torna indietro, «come una risposta da oltre il bosco».

Immobile nel recinto dei maiali la signora Turpin fissa «il cuore stesso del mistero», «quasi assorbendo un qualche sapere terribile e vivificante». La storia finisce con la visione di una folla di gente da lei disprezzata che come in processione «avanza verso il paradiso» mentre i rispettabili credenti del suo tipo marciano in fondo alla fila con aria sostenuta. «Poteva vedere dai loro volti scossi e alterati che perfino le loro virtù erano consumate come da un fuoco». Tornando a casa per «un viottolo su cui scende l’oscurità», sente ancora «le voci delle anime che scalano il pendio stellato gridando alleluia».

Anche da un riassunto così stringato, è chiaro che la “mappa della fede” propostaci dalla O’Connor ci spinge verso una dolorosa consunzione dell’io prima di far balenare più liete immagini di salvezza. Il suo metodo è concreto, a volte umoristico, ma radicato in una ricca teologia. Possiamo aver bisogno di scosse che ci costringano a rinunciare alle nostre sicurezze religiose, prima di scorgere quella seconda rivelazione della divina grandezza. In modi meno drammatici di quello della signora Turpin, il nostro senso del divino può esso stesso diventare una comoda e rassicurante stampella. La O’Connor vuole invece spingerci verso più aspri percorsi di autoconoscenza, preparando il terreno a un Dio che è sempre più grande – e più esigente – di quanto ci piacerebbe.

 

(Traduzione di Stefano Galli)

 

Michael Paul Gallagher

Gesuita irlandese, Gallagher ha vissuto per più di vent’anni a Roma, dove è stato Rettore del Collegio Bellarmino e ha insegnato Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana. Attento al confronto e alle sfide che la fede cristiana si trova a vivere con la postmodernità, ha dedicato a questo tema diversi volumi.

 

Per leggere il testo integrale dell’articolo

https://rivista.vitaepensiero.it//news-dallarchivio-flannery-oconnor-assalto-allimmaginazione-6375.html