Lo stalinismo. Alle radici del potere sovietico | Il Popolo” 1973.

Il 6 marzo del 1973, sul quotidiano della Dc, “Il Popolo”, usciva questo articolo di Domenico Sassoli (padre di David, il Presidente del Parlamento europeo scomparso lo scorso anno). Vale la pena rileggerlo, visto l’interesse per la figura di Stalin - ieri “Repubblica” gli ha dedicato il paginone della cultura - a 70 anni dalla sua scomparsa (5 marzo 1953).

Domenico Sassoli

Dal momento del suo arrivo in Occidente, il libro di Roy Medvedev Verso il tribunale della storia (tradotto in italiano da Raffaello Uboldi e pubblicato dall’ed. Mondadori col titolo: Lo stalinismo, pag. 738, L. 4500) si è imposto al dibattito storico-politico modificando con un ampio contributo di conoscenze nuove i termini stessi della discussione sull’età e la figura del dittatore georgiano, morto ven l’anni fa.

È nota la storia dei gemelli Medvedev: Zhorès, genetista, gerontologo e biochimico di gran fama e Roy, sociologo e pedagogo. Il padre, un colonnello-filosofo originario di Astrachan, era entrato nell’esercito rosso ai tempi della guerra civile; divenuto in seguito insegnante di materialismo dialettico all’Accademia dei commissari politici dell’esercito, fu inghiottito, insieme ad altri quattrocentomila comunisti, dalle purghe staliniane del ’37. Morì nel 1941 nel lager di Kolyma, nell’estremo nord-est siberiano, lasciando i figli, nati a Tbilisi nel ’25, appena sedicenni. Non meno della tragedia familiare, incisero nella formazione e nel carattere dei gemelli, i cinque anni trascorsi all’Università di Leningrado nel clima di terrore culturale instaurato dallo zdanovismo.

La morte di Stalin, il 5 marzo del ’53, la denuncia dei suoi « errori» e dei suoi crimini tre anni dopo, al XX congresso, la «destalinizzazione», intervennero a modificare radicalmente il destino dei Medvedev. «Nostro dovere – diceva Krusciov – è di fare il possibile perché la verità venga ristabilita fin d’ora, poiché più

Terrorismo ideologico

tempo passerà dopo questi avvenimenti e più difficile sarà ricostruire la verità». Confortati da queste parole e dalla riabilitazione politica del padre, Zhorès e Roy si gettano a capofitto nella impresa di liquidare il passato. Purtroppo l’incerto e tortuoso cammino della «destalinizzazione» metterà presto in luce la drammaticità del circolo in cui la coscienza russa, resa incapace di comprendere e di afferrare la grande occasione liberatrice offerta dalla coraggiosa denuncia kruscioviana, era venuta a trovarsi rinchiusa. I gemelli Medvedev, come Pasternak, intuiscono nella falsificazione della storia, nella menzogna istituzionalizzata, nel «dominio disumano della astrazione», nella e «magica potenza della lettera morta» le cause della paralisi generale delle coscienze.

Come stregati dall’idea di poter contribuire al risveglio dell’anima russa offrendo una diagnosi precisa e inoppugnabile della «degenerazione» staliniana, i fratelli si dividono il lavoro. Zhorès si assume il compito di documentare le conseguenze dell’arbitrio esercitato da Stalin – tramite Lysenko – nelle scienze biologiche; Roy il compito di raccogliere tutti gli elementi atti a definire sul piano storico, ideologico e umano le cause e la natura della mostruosa aberrazione. Nasce così, dopo anni di studio e di ricerca, Ascesa e caduta di Lysenko, in cui Zhorès narra le vicende della guerra trentennale che infuriò nel campo della biologia e della agronomia nell’èra di Stalin. Opera magistrale che getta tanta luce nuova sulla lotta del potere totalitario contro i residui della libertà di pensiero rifugiatosi nei laboratori scientifici. Ma il biologo non si limita al racconto storico, prende di petto le stravaganti fantasie dogmatiche dello pseudoscienziato e ne mostra l’inconsistenza scientifica. È difficile di fino a che punto Zhorès Medvedev, nel portare avanti il suo lavoro, si rendesse conto che mettendo in causa la teoria del rapido mutamento delle specie viventi, finiva con l’investire nonsoltanto la scienza staliniana ma anche uno degli articoli di fede del determinismo comunista. Il libro, definito dalle autorità censorie «eterodosso», cioè ereticale, non potéessere pubblicato nell’Unione Sovietica. Uscito clandestinamente in Occidente, esso vide la luce a New York nel 1969. L’autore vene rinchiuso in un ospedale psichiatrico.

Gli anni dal 1968 sono cruciali per i gemelli Medvedevcome per tutti quelli che avevano creduto in un svolta democratica del sistema comunista. Alla brutale repressione di Praga, segue la ripresa dei processi per delitto di opinione, la persecuzione delle minoranze nazionali e degli ebrei. Gli intellettuali sperimentano un nuovo tipo di terrore, per nulla indegno dell’età staliniana: il terrorepsichiatrico. Riabilitato nella prassi del potore, il dittatore defunto non può non esserlo nel ruolo storico. E così, prima ancora che il «dossier» di Stalin sia esaurito, «la menzogna istituzionalizzata» (Sartre) e la falsificazione storica tornavano in onore. Da quel momento il destino dell’opera che Roy Medvedev proprio in quel periodo, dopo un decennale lavoro di ricerca, porta a conclusione, è segnato.

Da membro disciplinato del partito comunista, egli aveva sottoposto, prima di presentarlo ad una casa editrice, il suo lavoro all’esame del Comitato centrale del Pcus, il quale rispose poco dopo aprendo contro di lui la procedura di espulsione dal partito. Roy si trova impegnato in una lotta su due fronti: da una parte, insieme al comitato sovietico per i diritti dell’uomo, egli cerca di mobilitare l’opinione pubblica onde ottenere la liberazione del fratello Zhorès dall’ospedale psichiatrico, dall’altra, è costretto a difendersi dalle accuse e dalle provocazioni messe in atto dal partito.

La prima battaglia si conclude con un successo: Zhorès è liberato nel maggio del 1970 (la vicenda sarà poi narrata dai due fratelli in un libro altamente drammatico: A Question ofMadness, non ancora tradotto in italiano), La seconda invece termina con la disfatta: Roy è espulso dal partito ed il suo manoscritto messo all’indice con la seguente motivazione: «Sotto l’apparenza di una critica al culto della personalità di Stalin, l’autore calunnia il sistema sociale sovietico». Per Roy Medvedev comincia la persecuzione aperta. Pesa su di lui, come una spada di Damocle, l’articolo 70 del codice penale (agitazione e propaganda antisovietica); nell’autunno del ’71, i servizi di sicurezza irrompono nella sua casa e requisiscono libri, documenti e manoscritti. Privato del lavoro, si allontana da Mosca. Il suo libro, come quello del fratello, vedrà la luce in Occidente, giuntovi per i canali sotterranei del Samizdat nel 1971.

Abbiamo notato come Zhorès, nel demolire le teorie di Lysenko andasse fatalmente a sconfinare nell’«eterodossia». È inevitabile che la libertà scientifica minacci di schiantare l’argine dell’ideologia totalitaria. È quello che anche Roy ha dovuto sperimentare. Nella ricerca storica, egli urta ben presto nella inadeguatezza delle fonti. Le inchieste annunciate nel ’56 sui misfatti di Stalin con la pubblicazione dei documenti relativi sono subito dimenticate. Gli studiosi attendono invano che il regime tenga fede alle promesse di far conoscere tutta la verità. Gli archivi restano chiusi e i ricercatori guardati con so-spetto. Per chi, come Roy, vuol saperne più di quanto sia con-sentito, non c’è che una via: volgersi alla storia vissuta: ritrovare i vecchi bolscevichi scampati alle purghe, alle persecuzioni e ai lager, raccoglierne le testimonianze e le memorie, recuperarne le carte personali. Si tratta – avverte lo studioso – di materiali particolarmente importanti «visto che molti degli ordini e azioni illegali di Stalin non vennero trascritti in alcun documento ufficiale nel corso della sua vita». Davanti ad un lavoro del genere, di altissimo valore civico oltre che storico, di fronte alla sensibilità ed alla intelligenza, al travaglio critico di cui l’autore fa sfoggio nello scegliere, nel valutare, nel giudicare e nel ricostruire la sprezzante osservazione dei recensori comunisti secondo cui Roy Medvedev non essendo uno storico militante, sarebbe da prendere cum grano salis, ha tutto il carattere di una umoristica messa in guardia.

La coscienza soffocata

Neppure lo sbrigativo giudizio – anche questo espresso da re censori comunisti – che il libro di Roy Medvedev si trovi al limite fra storia e politica, sia anzi un miscuglio di politica e storia, può avere un senso. Sintomatico è invece che simile giudizio provenga proprio da quella parte che, in virtù della identificazione di politica e verità, accettò e teorizzò senza arrossire per tutti e trenta gli anni di Stalin, la falsificazione sistematica della storia come servizio alla politica (e quindi alla verità). Escluso dagli archivi è costretto a volgersi, come abbiamo detto, alla vita vissuta – nel periodo del «culto» – dal popolo e dai vecchi bolscevichi, Medvedev descrive come l’assurda identificazione abbia tolto al popolo russo ogni capacità di giudizio autonomo, ne abbia distrutto la vita morale, assopito ogni possibilità di resistenza e di resurrezione civile, soffocato, in una parola, la coscienza. E l’appello alla vita è stato senz’altro ricco di risultati, forse più di quanto sarebbe stata la ricerca fra le carte dello Stato e del partito, se è vero, come affermano autorevoli testimoni, che interi settori d’archivio sono già stati distrutti e falsificati (sempre in omaggio alla identificazione di cui sopra).

Errori dun uomo o sistema sbagliato?

Nei sei anni dedicati alla ricerca dei documenti e delle testimonianze, Medvedev vede ingrossare fra le sue mani la materia di studio al punto di chiedersi come dominarla. La prima vittima dello straripamento è il cliché, il quadro storico ufficiale entro il quale destalinizzatori e neo-staliniani hanno finito per trovarsi d’accordo nel rinchiudere e limitare il periodo della «degenerazione». In queste condizioni, non poteva essere che uno storico non militante e non conformista ad assumersi il compito di alzare il velo, ad esempio, sui dieci anni che precedettero il 1934, anno dal quale – assassinio di Kirov – si fa ufficialmente iniziare l’età del «culto della persona» (espressione, questa, chiaramente limitativa, da ogni punto di vista, del fenomeno chiamato stalinismo). Medvedev può così mostrare come quegli anni, quanto a processi infami, assassinii di massa, illegalità e arbitri non abbiano nulla da invidiare a quelli degli anni Trenta. Il termine a quo dell’età

di Stalin viene in tal modo spostato agli esordi del potere staliniano, al momento del trapasso da Lenin a Stalin. Se ci si accontenta della definizione delLo stalinismo come«malatttia»,«degenerazione». «devlazione», « errore» e via dicendo, è l’intera fase del regno di Stalin che deve essere considerata tale. In essa non vi è nulla si salvabile. 

Così facendo e in virtù della sua logica lineare e spietata, Rey Medvedev insinua il dubbio se davvero questo fenomeno mostruoso che chiamano stalinismo, non sradicabile, sempre risorgente dalle sue ceneri, non sia qualcosa di più che un errore, una deviazione e una malattia, se esso non sia, nelle sue cause e nella sua sostanza, anteriore allo stesso termine a quocoraggiosamente spostato dieci anni indietro da Roy Me-dvedev, e se a Stalin non sia toccato (meritatamente, certo) il triste privilegio di dare il proprio nome ad un processo già in atto. Dopo averlo forse inconsapevolmente suscitato, lo studioso sovietico si arresta davanti a questo interrogativo evidentemente impacciato dall’a priori rappresentato dai tabù di Lenin e del colpo di stato dell’ottobre. E non si capisce se egli tenda ad esaltare il mito di Lenin per contrapporlo a Stalin e rendere più abbietto il secondo mediante l’esaltazione delle virtù del primo o perché travagliato dall’intima consapevolezza che, una volta coinvolto Lenin, si arriverebbe diritto alla radice stessa del sistema sovietico, della sua ideologia e quindi di quella «democrazia socialista» della quale si vuole che Lenin sia stato il profeta ed alla quale Roy Medvedev guarda nel suo intimo.

Ma l’interrogativo, una volta posto, rimane costantemente presente allo spirito come un assillo e una spina dolorosa. Negato a priori il dubbio è continuamente affacciato e respinto. E Roy è costretto ad impiegare tutte le risorse della dialettica per impedire che rialzi il capo. Questo travaglio intimo e sofferto, è appunto ciò che carica le settecento e più pagine del libro di tensione e di problematicità. Il testo della condanna emessa dal comitato centrale del Pcus mostra come i vigili conservatori dell’ortodossia individuassero perfettamente il carattere esplosivo del libro. Essi capirono che Roy Medvedev, più o meno consapevolmente, indicava nello stalinismo la pietra di contraddizione del regime sovíetico.