L’Osservatore Romano | Minimalia – Goethe e lord Byron.

Byron appariva alla fine dell’Ottocento come colui che veniva incontro alle aspirazioni sia romantiche che classiche del popolo tedesco. Goethe finì per idealizzarne la figura nella seconda parte del Faust.

Non vi è stato Paese europeo dove il culto di lord Byron si sia diffuso con più penetrante vigore che in Germania. Alla fine dell’Ottocento si contavano ben ventidue traduzioni in tedesco del dramma Manfredi, diciassette del poema narrativo Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, sedici dei Racconti orientali

Agli uomini di cultura tedeschi, il poeta e politico britannico appariva come colui che veniva incontro alle aspirazioni sia romantiche che classiche del popolo tedesco: grazie al suo genio, le due aspirazioni erano state risolte in una felice sintesi. Si formarono, in varie parti del Paese, veri centri di culto byroniano: ad Amburgo, nel prestigioso circolo dell’armatore Jacobsen, la baronessa von Hohenhausen tradusse ella stessa opere minori di Byron e, al contempo, indirizzò allo studio del poeta il giovane scrittore Heinrich Heine. 

E, trattandosi di Germania, tra gli estimatori più fervidi di Byron non poteva non figurare Goethe il quale, va tra l’altro rilevato, tendeva a essere parco di complimenti nei riguardi dei colleghi. In una lettera del 25 febbraio 1825, l’“Olimpico” così scriveva: «La vera forza poetica in nessuno mi è apparsa più grande che in Byron. Nella comprensione degli elementi esterni e nella chiara visione di età trascorse egli è grande come Shakespeare». 

Goethe finì per idealizzare la figura del lord nella seconda parte del Faust, mediante il personaggio di Euforione, nato dal connubio di Faust con Elena, ossia dello spirito moderno con la bellezza classica. Lo stesso Goethe, commentando tale creazione, dichiarò: «Io non potevo, come rappresentante della poesia moderna, scegliere altri che Byron, che deve essere considerato, senza riserve, il più grande talento del secolo». 

Ma, come spesso accade, c’è chi si tira fuori dal coro di elogi. In questo caso è il filosofo Friedrich Schlegel a intonare un controcanto, definendo Byron «un anticristiano», reo di aver suscitato, nella tragedia in versi Caino, «un falso incantesimo di un’esaltazione demoniaca».