Durante gli anni 1932-33 milioni di contadini ucraini morirono a causa della mancanza di viveri, dello sfinimento fisico, del tifo, delle deportazioni, dei suicidi provocati dallo squilibrio psichico e dal collasso sociale. È quella che viene ricordata come la grande “carestia” in Ucraina e nel Caucaso del nord. 

Una carestia molto particolare, non dovuta a condizioni naturali avverse, ma alle scelte staliniane nella politica di collettivizzazione delle campagne e di industrializzazione dell’Unione Sovietica. 

Riportiamo di seguito l’introduzione, a firma di Gabriele De Rosa e Francesca Lomastro, de La morte della terra. La grande «carestia» in Ucraina nel 1932-33 (Viella Libreria Editrice). Il libro, edito nel 2005, raccoglie gli atti del Convegno svoltosi a Vicenza il 16-18 ottobre 2003. Nella circostanza, studiosi italiani e stranieri hanno riesaminato le vicende di quegli anni terribili, l’eco che ebbero nel mondo, i riflessi nella letteratura, le conseguenze sulla società ucraina che arrivano fino ai nostri giorni.

Da dove venite gente? 

Dalla fame. Dalla Volyn’ 

Di quale campagna siete? 

È morta la campagna.

I versi della poetessa ucraina Lina Kostenko riecheggiano nell’immagine della “morte della terra” che dà il titolo a questo libro (1). Il poema Marusja Churaj da cui essi sono tratti è ambientato nell’Ucraina del Seicento devastata dai polacchi, non negli anni dello stalinismo. Ma anche in questi ultimi, a cavallo tra il 1932-33, quella stessa morte della terra trionfò in Ucraina, premessa e conseguenza di quello sterminio per fame per designare il quale è stato necessario creare un termine nuovo, holodomor.

A causare questo sterminio non furono le condizioni climatiche avverse, ma le decisioni politiche della dirigenza sovietica, a Mosca come a Karkhov. L’obbiettivo era collettivizzare a ritmi accelerati, in modo da poter più facilmente ammassare quanto più grano possibile, da distribuire nelle città dove l’industrializzazione procedeva a ritmi altrettanto forzati e da esportare per finanziare quella industrializzazione. Si trattava di un obbiettivo che, come dichiararono ripetutamente i dirigenti sovietici, andava raggiunto ad ogni costo, anche a quello della fame dei contadini e persino della loro morte, specie laddove, come in Ucraina, più intensa era stata la resistenza delle campagne all’offensiva staliniana.

Le enormi dimensioni della tragedia furono subito evidenti, e conosciute: tre, otto, dodici milioni di morti, o addirittura di più, come sostenuto da alcune voci riportate dal console italiano a Karkhov, Sergio Gradenigo, attento e acuto osservatore della tragedia, in quei documenti eccezionali che sono i suoi dispacci inviati al governo italiano per tenerlo al corrente di quanto avveniva in Ucraina (20. Sono dimensioni che è necessario ricordare non per proseguire un ormai insensato dibattito sul numero esatto delle vittime, ma per avere un’idea della tragedia consumatasi tra il novembre 1932 e il giugno 1933. La sua scala è tale da permettere il ricorso alla categoria di “genocidio”, anche se si tratta di un genocidio diverso da quello premeditato e teso alla distruzione diretta di ogni suo rappresentante attuato dal nazismo nei confronti del popolo ebraico.

Eppure di questa tragedia si è parlato poco, anche perché tanto le democrazie occidentali che l’Italia fascista non diedero ad essa allora grande importanza, mentre l’Urss si impegnava a negarne la stessa esistenza e a cancellarne sistematicamente tracce e memoria. Di quella morte per fame di cui milioni di famiglie, comprese famiglie russe come quella di Gorbachov, portavano in sé il dolore, fu vietato parlare, e quando, finalmente, si cominciarono ad aprire gli archivi, per gli stessi storici (ucraini, russi o occidentali che fossero) non fu facile – e non lo è ancora – cogliere lo straordinario peso degli eventi e delle loro conseguenze, anche sul giudizio che siamo tutti chiamati a dare del secolo appena trascorso.

Questo libro raccoglie i contributi di un convegno che ha perseguito l’unico obbiettivo di cercare di capire da dove venne la morte per fame a coloro che vivevano nel granaio d’Europa. La comprensione della tragedia attraverso la quale passò il popolo ucraino vuole essere un contributo alla comprensione di questo grande Paese dell’Europa orientale, culturalmente e storicamente europeo, eppure restato purtroppo a lungo in Italia, ma si spera non ancora per molto, una terra incognita.

  1. I versi sono citati in O. Pachlovska, Il concetto di tempo e di storia nella poe- sia di Lina Kostenko, in «Ricerche slavistiche», XXXIX-XL/2 (1992-1993), p. 137.
  2. Il riferimento è ad A. Graziosi (a cura di), Lettere da Kharkov. La carestia in Ucraina e nel Caucaso del Nord nei rapporti dei diplomatici italiani, 1932-33, Torino 1991, in particolare al doc. n. 35, del 22 giugno 1933, p. 182, quando, all’apice della tragedia, Gradenigo scriveva che «rappresentanti del Governo hanno ammesso una perdita di vite umane, per la sola Ucraina, di 9 milioni di anime. Nei circoli universi- tari si parla del 40/50 per cento del totale della popolazione ucraina…».