[…] La singolarità di Apollonio, il suo fondamentale arcanismo e le apparenti contraddizioni che anche noi abbiamo percorso, lasciano la sua figura, a quindici anni dalla scomparsa, inquietamente aperta, invocante ripensamenti e investigazione: per ciò stesso lontana dalla morte, in quotidiana crescita entro la comune nostalgia.
Se è vero che in lui l’amicizia fu tanto viva da squarciare la solitudine, tocca agli amici partire insieme alla ricerca del suo estremo retaggio, d’una crepuscolare « confidenza » tra il tempo e l’eterno.
C’è un «vello d’oro» di Apollonio, da conquistare oltre tutte le parole i giudizi i ricordi e gli aneddoti. Lo dico qui a me stesso, e a quanti altri con me custodiscono, assai più del suo ricordo, quella mitica impronta su cui ho insistito, sul filo d’una corale fedeltà.
Argonauti, più che alunni (giacché scuola Apollonio non intese fondare e non lasciò, irripetibile e alieno da metodologie e didattiche come fu, anche se nello scherzo — che salvò sempre dal plagio il nostro rapporto con lui — lo chiamavamo «il divin maestro»). Argonauti ancora meglio che amici (proprio per quella inafferrabilità ultima con cui Apollonio si sottrasse anche a noi, pur nei giorni del più affettuoso sodalizio). Uomini intendo dire da lui stimolati, come i seguaci di Giasone, al mito quale strumento della ricerca non solo letteraria, ma d’ogni conoscenza immedesimante: mezzo di trasfigurazione dall’apparente al reale. Tautologia di quel mito oggi è lui stesso; e alla conquista di Apollonio è bello far vela.
Sono passati tre lustri, ma ancora tutti i giorni batte in noi l’emozione d’essergli stati vicini, l’orgoglio che abbia scelto noi per trasformarci paradossalmente solo in noi stessi. E ogni giorno di più, dalla sua morte, il nostro cuore è ferito dallo scandalo di ciò che accade, nel mondo delle parole e dei fatti. In certe ore, nel grande urlo ipocrita che ci frastorna, Apollonio è davvero l’uomo che insopportabilmente ci manca. Allora l’insipienza codarda del discepolo è portata a dire: se ci fosse lui ritroverei coraggio e ironia, fede e sdegno contro la Bestia trionfante.
In un triste e ingenuo schematismo sembra infatti che il suo uscir di scena abbia segnato l’irrompere di un’astuta barbarie, d’un confusionario cinismo che lui da qualche anno andava preconizzando, non senza ira e sarcasmo e in cui ravvisava la «femmina balba» di dantesca immagine. Ma sappiamo che lui prima di chiunque ci vieterebbe la resa, spazzerebbe via questa sentimentale suggestione di rifiutare la nostra storia, da quando lui non abita fra noi se non in quel gorgo d’aria e di musica che scende dalla sua costellazione. Il suo appuntamento a noi e agli uomini che non lo conoscono è ancora quel perpetuo, non ammainabile «8 settembre».
Luigi Santucci
Luigi Santucci è stato uno scrittore, poeta e commediografo italiano. È ritenuto dalla critica il principale narratore milanese della seconda metà del Novecento.
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