Il 6 maggio 1952, nella cittadina olandese di Noordwijk, si spegneva Maria Montessori. A distanza di alcuni giorni dalla morte, don Luigi Sturzo affidava alle pagine del periodico “La Via”, una sua devota commemorazione dal titolo “Ricordando Maria Montessori”.
Ci si riferisce ad un tempo in cui la scuola doveva affrontare sfide e problemi importanti. In questo scenario, il pensiero visionario e travolgente della Montessori rappresentava una bussola fondamentale che solo una personalità scomoda e coraggiosa come Sturzo poteva cogliere e trasformare in un’opportunità per orientarsi nell’agire pedagogico. Dalla sua riflessione emergevano, dunque, le affinità tra sua la pedagogia e il metodo della Montessori volto a favorire la libertà di diventare se stessi (Lucangeli, 2022). In effetti, don Sturzo ebbe una certa sensibilità per le questioni dell’educazione e dell’istruzione, contemplati come principi costituenti dello sviluppo della personalità e della cultura di un popolo che aspirava a essere veramente libero e forte.
In queste pagine, Sturzo rileggeva in qualche modo il suo impegno sociale e politico che aveva indirizzato al mondo della scuola, a partire dal 1907 quando già da due anni era Prosindaco di Caltagirone (1905-1920) sostenendo che «la scuola mi interessava più di ogni altro ramo dell’amministrazione: non invano avevo insegnato per dodici anni al seminario vescovile, ed avevo già fatto le prime battaglie per la libertà della scuola». In questa prospettiva, occorre ricordare l’esperienza che fece tra il 1912 e il 1917 a capo della Federazione regionale siciliana dell’Associazione magistrale “Nicolò Tommaseo”, un’organizzazione che si inseriva nel solco della più ampia storia del movimento cattolico novecentesco e che per il sacerdote calatino rappresentò una sorta di apprendistato per conoscere e approfondire i problemi e le opportunità dell’istituzione scolastica. Nel ruolo di primo cittadino del suo comune «fece introdurre nella scuola primaria l’educazione artistica, il canto, la recitazione e la ginnastica, evidentemente attento alle idee nuove della pedagogia del tempo […]», anche nel rispetto, verosimilmente, del pensiero del suo conterraneo Giuseppe Lombardo Radice (Dessardo, 2022).
Don Sturzo conosceva Roma, si era trasferito da Caltagirone per studiare Teologia all’Università Gregoriana (si laureò nel 1898) ed era entrato in contatto con personalità importanti dell’associazionismo cattolico come don Romolo Murri e Giuseppe Toniolo. In seguito, riprese a frequentare con maggiore assiduità la capitale, in virtù del suo ruolo di amministratore locale e del suo impegno nell’associazione nazionale dei comuni. Nell’articolo si può rintracciare la testimonianza dell’incontro con Maria Montessori che sopraggiunse proprio in quella fase della sua vita, dopo aver ricevuto l’invito a visitare la “casa dei bambini” realizzata nel quartiere San Lorenzo: pur essendo consapevole che «sospetti di naturalismo ne avevano ostacolato l’iniziativa», decise di visitare le scuole per rendersi conto «del tipo di scuola e delle ragioni del metodo». Si recò più volte in quel luogo e il suo «interessamento si accrebbe di volta in volta; e Maria Montessori non dimenticò mai il piccolo prete che per il primo aveva preso diretto interesse alla sua iniziativa, l’aveva incoraggiata, ed aveva affermato che nessuna pregiudiziale anticristiana fosse alla base di quell’insegnamento; cosa che poteva essere introdotta in questo ed altri metodi da maestri non credenti». Tra i due non ci furono altre occasioni di ritrovo dopo quel periodo iniziale, se non durante il primo dopoguerra, sempre a Roma «per conoscere i progressi delle sue molteplici iniziative». Nel frattempo arrivò il fascismo e così l’incontro si rinnovò nel giugno del 1925 a Londra dove Sturzo, in quel tempo, trascorreva il suo esilio ospite presso i padri serviti in Fulham Road. Durante quella visita tanto piacevole quanto inattesa si parlò «soprattutto dell’Italia, e delle vicende nostre e dello sviluppo del metodo Montessori nel mondo, e dei piani del futuro e ricordammo la visita del prete caltagironese alla scoletta di S. Lorenzo […]».
Nella stessa disamina si chiedeva anche del perché «da quarantacinque anni ad oggi, il metodo Montessori non sia stato diffuso nelle scuole italiane» e il suo riscontro appariva piuttosto amaro: «Allora come oggi, debbo dare la stessa risposta: si tratta di vizio organico del nostro insegnamento: manca la libertà; si vuole l’uniformità; quella imposta da burocrati e sanzionata da politici. Manca anche l’interessamento pubblico ai problemi scolastici; alla loro tecnica, all’adeguamento dei metodi alle moderne esigenze». Per concludere affermando che forse c’era di più: «Una diffidenza verso lo spirito di libertà e di autonomia della persona umana che è alla base del metodo Montessori. Si parla tanto di libertà e di difesa della libertà, ma si è addirittura soffocati dallo spirito vincolistico di ogni attività associata dove mette la mano lo Stato; dalla economia che precipita nel dirigismo, alla politica, che marcia verso la partitocrazia, alla scuola che è monopolizzata dallo Stato e di conseguenza burocratizzata».
Ciò che di Sturzo ci interessa ancor oggi e che vale la pena ricordare, ha sostenuto don Massimo Naro, «si può rappresentare con la metafora della luce delle stelle morte. Questo paradossale fenomeno astrofisico consiste nel fatto che la luce delle stelle – che vediamo di notte accendersi nel cielo e che da sempre aiuta chi sa leggere la mappa celeste a orientarsi nel proprio cammino – ci raggiunge da un luogo così lontano da equivalere pure a un passato temporale distante da noi miliardi di anni: le stelle che la emanano (meglio: che la emanarono) non esistono più, sono implose, sono morte appunto. Ma la loro luce ci raggiunge qui e ora». E ci illumina e ci guida nel comprendere meglio l’attualità della riflessione politica di don Sturzo, proprio come affermato da don Naro nel corso del suo intervento di apertura dei lavori dell’iniziativa organizzata dagli amici Beppe Fioroni e Lucio D’Ubaldo che si è tenuta a Viterbo lo scorso 18 gennaio, in occasione del 105° anniversario dell’Appello ai liberi e forti.
Nel suo “testamento pedagogico”, don Lorenzo Milani raccomandava ai suoi ragazzi: «[…] tutti sapete cosa vi ho raccontato sempre: fate scuola, fate scuola; ma non come me, fatela come vi richiederanno le circostanze. Guai se vi diranno: il Priore avrebbe fatto in un altro modo. Non date retta, fateli star zitti, voi dovrete agire come vi suggerirà l’ambiente e l’epoca in cui vivrete. Essere fedeli a un morto è la peggiore infedeltà».