È opinione diffusa ormai che al termine di questa crisi economico-sanitaria tutto l’assetto mondiale di organizzazione della vita quotidiana dei cittadini dovrà ripartire secondo nuovi modelli di sviluppo e di stili di vita.

Non sarà più possibile, infatti, tornare al passato, alla vita quotidiana che abbiamo conosciuto sinora nel bene e, soprattutto, nel male.

L’umanità è alla fine di un ciclo storico che ha visto sul piano politico il tramonto delle ideologie del secolo breve, ma anche la crisi di un modello di sviluppo economico che sembrava essere perennemente valido nel creare ricchezza e benessere.

Invece, la realtà quotidiana ci indica altri paradigmi sui quali bisognerà fare i conti se vogliamo davvero uscire da una impasse che è soprattutto sociale, nel senso che la crescita economica per una vita dignitosa di tutti dovrà abbandonare, se non demonizzare, tutto ciò che ha guidato sinora i sistemi economici a livello mondiale.

Di questo dovrà farsi carico in primis la politica che non potrà più essere soggetta a lobby economiche interessate, ma ad una visione diversa del mondo in sintonia con le nuove domande che vengono dalla società: innanzitutto l’ambiente inteso in una duplice visione di recupero e salvaguardia, ma al contempo anche di sviluppo economico.

In questo quadro tornano particolarmente attuali alcune considerazioni profetiche di Jacques Maritain, riprese da Giorgio La Pira nel secondo dopoguerra: siamo giunti davvero alla fine di un ciclo storico (compreso quello cosiddetto post moderno) ed all’apertura di uno nuovo nel quale la cultura scientifica, quella umanistica e, conseguentemente, quella economica debbono avviarsi ad una nuova sintesi.

La cultura umanistica deve saper rivalorizzare la realtà del creato, mentre quella scientifica e quella economica devono ispirarsi all’etica e, quindi, mettersi al servizio dell’uomo al fine di una duplice valorizzazione: la persona umana e la natura.

Il discorso ambientale diventa, dunque, preminente perché assume un significato che va oltre i singoli Stati.

Infatti, l’ambiente da salvare riguarda l’intero pianeta: la rottura degli equilibri economici in una parte del mondo riguarda tutto il globo. Se i popoli poveri del terzo mondo sono costretti a coltivare droga per sopravvivere (sotto lo stretto controllo dei potentati economici malavitosi che fanno affari illeciti anche in questo settore), le conseguenze riguardano l’intero pianeta. Se i Paese industrializzati inquinano mari, fiumi, atmosfera, prodotti alimentari, le conseguenze ricadono sulla vita e sulla salute di tutti gli uomini, anche di quelli che del benessere economico di pochi subiscono le conseguenze negative.

Non si tratta di paladinismo per un ritorno al passato, per una sorta di nostalgico rigurgito dietrologico dell’umanità allo stato di natura, ma di una presa di coscienza reale: i poveri del mondo (la maggioranza) non possono pagare per gli errori, gli egoismi e le bramosie dei ricchi.

Allora, il richiamo di Paolo VI° nella Populorum Progressio nel temere la collera dei poveri, che ormai non è più solo del terzo mondo, dovrebbe far riflettere il mondo politico, ma soprattutto quello economico, per un cambio di passo, per un diverso mondo da costruire dopo la fine di questa crisi che ha messo a nudo l’inconsistenza di un modello di sviluppo basato sul semplice profitto economico.