La lezione, almeno così pare, non è ancora stata sufficientemente metabolizzata. Per uscire dalla  metafora, continua la proliferazione delle esperienze politiche e pseudo politiche che puntano a  rilanciare una “politica di centro” con l’apporto decisivo e determinante dei cattolici popolari e  democratici. Tutti, ormai, conosciamo e da lungo tempo la storia. Nessuno, come ovvio, mette in  discussione la buona volontà e il disinteresse dei singoli di dar vita alla propria piccola, e di norma  irrilevante, sigla politica. Non si può parlare neanche di contenitore elettorale perchè, proprio sotto  il profilo elettorale, si tratta di esperimenti del tutto irrilevanti nonchè misteriosi. Eppure si va  avanti e i gruppi nascono come funghi in autunno. 

Ora, il nodo da sciogliere è semplice e al tempo stesso complesso. Ormai è un giudizio quasi  unanime. E cioè, il “centro” continua ad essere un’area politica importante – è sempre più  auspicata e gettonata dalla politologia nostrana – nella storia del nostro paese e ancor più oggi  quando, di fatto, non esiste un partito che sia in grado di declinare quel progetto. Molti blaterano  di centro e nessuno riesce ad intercettare quel mondo, quell’area politica, sociale e culturale. E  siamo arrivati al punto, ironia della sorte, che il partito di Grillo – cioè una esperienza politica che  si è da sempre contraddistinta per la sua cifra populista, demagogica, anti politica e  antiparlamentare – straparli di dar vita ad un movimento liberal/moderato. Per non parlare del Pd o  della Lega di Salvini…. 

Ma è del tutto evidente che, seppur di fronte ad un quadro politico confuso, frastagliato e in  continua evoluzione, un “partito di centro” o una “politica di centro” che veda anche l’apporto  decisivo della “nostra” cultura popolare e cattolico sociale, non si intravede ancora all’orizzonte.  Fuorchè si pensi che quest’area possa anche essere rappresentata dai radicali o da vari esponenti  politicamente inaffidabili… 

E, malgrado ciò, molti amici continuano simpaticamente a riproporre le proprie sigle o ad  avanzarne di nuove come se nulla fosse. Pensando che così facendo, prima o poi tutti gli altri  confluiscano passivamente e silenziosamente nella propria. Come ovvio, si tratta di una pura  illusione se non di una vera e propria utopia. 

Ecco perchè, quindi, si tratta di capire, adesso, come uscire da questa endemica e fallimentare  prassi. E, al di là di chi – del tutto legittimamente – pensa di continuare con la moltiplicazione delle  sigle e, di conseguenza, con la gelosa conservazione della propria, per uscire da questa melassa  occorre uno scatto. Un salto di qualità. Una profonda inversione di rotta. Una iniziativa un po’  dirompente che metta tutto in discussione ma per guardare avanti, però, e per non farsi più  catturare dalla sola nostalgia e dalla triste e decadente conservazione dell’esistente. Fatta di sigle,  partitini e vuote sigle elettorali. 

Nel passato, come tutti sanno, ci sono stati momenti che definiamo per comodità “costituenti”  dove sono state approfondite e scandagliate le ragioni politiche per rilanciare la nostra cultura, il  nostro progetto, il nostro patrimonio ideale e storico. Certo, nel passato esistevano anche la  “politica” e una classe dirigente, il che non è affatto una variabile indipendente rispetto alla  credibilità del progetto complessivo. Ma ogni fase storica, comunque sia, va vissuta con le  caratteristiche e le costanti che la caratterizzano. Senza rimpianti e senza rassegnazione. Ed è  proprio partendo da questa considerazione che si dovrebbe cominciare a pensare ad una  “Assemblea Costituente” che sia in grado di aggregare le varie e molteplici esperienze  disseminate in tutta la preferita italiana e, soprattutto, di darle una veste politica ed organizzativa  seria e credibile. Una iniziativa che abbia un solo e grande obiettivo: superare la frammentazione e  la polverizzazione e gettare le premesse per ricostruire una presenza politica e culturale il più  possibile aggregante, laica e capace di porre fine a questa singolare e persino grottesca divisione  fra centinaia di sigle. Tutte, come scontato, irrilevanti a livello politico ed elettorale.  

Si tratta di una semplice proposta ma che potrebbe sciogliere un nodo ormai endemico. Non si  può più assistere a questa dispersione. Per il bene della nostra cultura politica ma, soprattutto,  per la qualità della nostra democrazia e anche per la stabilità del nostro sistema politico.