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domenica, 6 Luglio, 2025
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L’umiliazione della Tenda dei riformisti

Tenda o rifugio o accampamento poco cambia. Nel lessico della sinistra post-comunista, l’immagine maschera un progetto egemonico che svilisce il Centro e marginalizza il popolarismo d’ispirazione cristiana.

Un filo rosso che attraversa il tempo

Ci sono vari modi nella politica italiana per ridicolizzare una cultura, un pensiero, una tradizione o un partito. Ma c’è un filo rosso che si ripete negli anni a prescindere dallo scorrere del tempo, dal cambiamento delle fasi storiche, dal tramonto dei partiti e dall’avvento di nuovi soggetti politici.

E questo elemento è la voluta e pervicace volontà di estromettere dalla cabina di comando – di un partito o, meglio ancora, di una coalizione – una cultura politica. È il caso, nello specifico, della famosa “tenda” progettata dal duo Bettini-Renzi per rafforzare l’alleanza di sinistra e progressista.

Il diritto di tribuna, moneta di scambio

Tenda o rifugio o accampamento poco cambia perché l’epilogo è sempre lo stesso. E cioè: in un’alleanza c’è chi detta l’agenda politica, culturale e programmatica, e chi, al contrario, deve semplicemente adeguarsi in cambio di una manciata di seggi parlamentari come premio di consolazione o, per dirla in termini più corretti, come garanzia del “diritto di tribuna”.

Ora, che questo disegno venga perseguito da Renzi non ci stupisce. Come tutti i partiti personali deve garantire una piccola pattuglia di parlamentari per sé e per i “propri cari” e quindi, di conseguenza, non solo è comprensibile ma è anche legittimo.

La pretesa di egemonia culturale non va mai in crisi

Quello che stupisce, ma fino a un certo punto, è la tenacia e la coerenza di alcuni storici esponenti della sinistra con cui si ripropone sempre lo stesso approccio e sempre lo stesso metodo nella costruzione dei processi politici.

Che poi, detto con parole semplici, è figlio di quella cultura dell’egemonia di gramsciana memoria che ha caratterizzato in profondità l’intera storia del comunismo italiano dal secondo dopoguerra in poi.

Approccio e metodo che sono rimasti immutati, al di là e al di fuori delle vuote chiacchiere sul superamento delle vecchie etichette del passato e del cambiamento intervenuto.

Il Centro accettato ma solo in posizione subalterna

Nel caso odierno, si nota la radicale sottovalutazione del Centro e di tutto ciò che lo caratterizza e lo contraddistingue. E la metafora della “tenda” o “dell’accampamento” è persino perfetta nella sua descrizione più scientifica.

E cioè: ci sono delle forze politiche, culturali, sociali e forse anche etiche che devono farsi carico di guidare una coalizione e poi, ma soltanto poi, ci sono anche dei frammenti da aggiungere per spiegare agli incolti che la suddetta coalizione è plurale perché tiene conto di tutti. E quindi anche dei centristi.

Purché, coerentemente, continuino a soggiornare nella “tenda” o nel rifugio o nell’accampamento.

Riscoprire la forza di un popolarismo autonomo

Una tesi e una costruzione politica perfettamente coerente con l’antica vocazione egemonica gramsciano comunista che può andare in crisi solo quando la cultura politica di centro, riformista e di governo viene interpretata da personalità forti, carismatiche e autenticamente rappresentative – per fare un solo esempio concreto, da un Franco Marini di turno – ma che poi, puntualmente, è destinata a riprendere il boccino in mano, come si suol dire.

Ecco perché chi continua ancora a perseguire un progetto politico di un Centro dinamico e riformista, seppur plurale e articolato al suo interno, non può accettare supinamente e irresponsabilmente questa mortificazione politica, culturale, programmatica e anche organizzativa.

La concezione della “tenda”, secondo la visione del duo Bettini-Renzi, per dirla con parole ancora più semplici, è la negazione radicale del ruolo del Centro, della politica di centro e di un Centro dinamico. Oltreché, e di conseguenza, della funzione e della stessa mission dei Popolari e del popolarismo di ispirazione cristiana.