E’ ormai dagli anni ’80 che assistiamo ad un progressivo e costante deperimento dell’immagine dell’Unione Europea, che da baluardo dei diritti e della pace è diventata la ragione di tutti i mali e facile schermo dietro  il quale le politiche nazionali spesso si riparano. Molte sono le ragioni (crisi economica, invecchiamento  demografico, sempre meno risorse per il welfare state, sfide poste dall’immigrazione), ma è certa una delle
soluzioni: cultura comune.

Infatti una delle cause che ha portato l’Europa alla situazione di crisi attuale è la poca conoscenza che i suoi 500 milioni di cittadini hanno di ciò che per loro l’Unione fa o, ancora meglio, potrebbe fare se gli stati membri tornassero a credere fermamente nelle idee di integrazione e solidarietà.
L’Unione Europea viene oggi percepita solo come una serie di grigi uffici che pongono veti e impongono regole, stando lontani dai bisogni effettivi dei cittadini. Per questo servono politiche di rilancio della figura dell’unione, non come insieme di stati, ma come un complesso di idee, valori e cultura condivisi da tutti.

Infatti, anche se ad oggi circa il 70% degli europei si sente cittadino dell’Unione, in particolare tra i giovani, manca la comprensione di cosa sia questa Unione Europea di cui tanto si parla, ma poco si sa. Ed è forte l’esigenza manifestata dai cittadini europei di sapere qualcosa in più sulle istituzioni sovranazionali che li governano (oltre i 2/3 vorrebbe conoscerne meglio il funzionamento).

Nei piani di studio nazionali, ad esempio, ai giovani difficilmente viene insegnato cos’è l’Unione Europea, se non per merito di alcuni insegnanti che ritengono questo sia – com’è in effetti – un aspetto fondamentale della nostra vita quotidiana.
Cosa vuol dire essere europei? Questa è la domanda alla quale la politica deve saper rispondere se non vuole che oltre 60 anni di libertà e di pace vengano messi in preoccupante discussione.

Come in ogni convivenza, anche l’Unione europea è composta da interessi diversi, ma che in fondo portano tutti al comune obiettivo che per l’Europa è un vanto, ossia avere il migliore sistema di welfare del pianeta. E’ proprio all’esigenza di garantire il maggiore benessere ai cittadini europei che dobbiamo guardare per ritrovare una visione unitaria, che poggi le sue fondamenta su un terreno comune.

Su questo le tante diverse culture e sensibilità degli stati europei stanno trovando un punto di necessaria convergenza, per non fare di questa crisi un elemento che entra dirompente nella vita delle persone distruggendola e facendo nascere solo disgregazione e frammentazione, anche dell’Unione Europea.
Infatti sentiamo in questi giorni delle imponenti misure economiche che grazie all’Unione daranno, anche all’Italia, risorse e liquidità per rendere possibile la ripresa.

L’Europa deve farsi motore di quel cambio di paradigma a lungo discusso nelle economie e nelle società nazionali, che però ha bisogno della potenza europea per essere realizzato.
Le imprese hanno bisogno di una cultura unitaria rinnovata e vicina alla digitalizzazione e alla sostenibilità.
La creazione di valore in questo nuovo mondo, di cui intravediamo ancora solo i contorni, passa soprattutto dalla vittoria di una sfida che vede l’Unione europea come protagonista. Le imprese sono legate indissolubilmente ai loro territori e l’Europa deve essere un unico grande territorio delle opportunità e di uno sviluppo che finalmente diventa sostenibile e vada a scongiurare i pericoli che in modo terribile si sono resi concreti in questa nostra epoca.

L’Europa deve essere un territorio, non un insieme di territori; una visione comune e non una moltitudine di punti di vista che si scontrano periodicamente ad un tavolo; una serie di strumenti finanziati in modo comune e che arrivino laddove si trovano i bisogni dei cittadini.

Un’Europa a misura di persona, che sappia affrontare in modo unito e davvero condiviso le sfide ancora poco chiare che questa crisi ci pone di fronte. Questo si può fare con un welfare unico, grazie a risorse comuni e scelte strategiche. Il Covid-19 non è stato solo un problema: ha portato alla luce alcuni dei nodi politici irrisolti di questa Unione di Governi più che di stati; di diplomazie, più che di persone.

Oggi, davanti ad un dramma globale, abbiamo l’opportunità di ridisegnare la traiettoria che l’Europa vuole avere. La moneta unica ci rende più resistenti alle crisi e lo ha dimostrato, l’area unica di libero scambio ci rende più competitivi. Ora tocca alla politica come sempre il compito più difficile: creare la vera unione che ci renderà più forti

Questa è l’occasione per creare, dopo oltre 60 anni di pace, i presupposti per una ripresa che sia qualità della vita per 500 milioni di persone e un esempio di comunità per il mondo.
Per far sì che questo diventi realtà, non dobbiamo chiederci come sarà il futuro ma come vogliamo che sia il futuro. Perché se c’è qualcosa che dobbiamo imparare da questa esperienza terribile è l’importanza di avere un’idea del domani, un binario che si costruisce insieme e sul quale ci mettiamo in cammino uniti.

Abbiamo bisogno ora, di un cambio di paradigma, di una visione che non guardi da qui alla fase 3, 4 o 5 ma da qui ai prossimi 20 anni. Sappiamo tutti che non si può usare una vecchia mappa per scoprire una terra nuova. E quindi dobbiamo creare una nuova realtà che deve partire da una visione del mondo rinnovata, per filosofia di attività politica e per capacità strategica di gestione dei territori e delle istituzioni. E dobbiamo
farlo tutti’ uniti e insieme.